TRANSUMANZA

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lunedì 25 agosto 2008

Da Bakunin ad Osho Rajneesh: l'alternativa comunitaria

Quella che segue è un’intervista che Rossana Guidi, sociologa all’università di Pisa, mi ha fatto in un bel pomeriggio di luglio in un agriturismo poco distante da Orte (VT). Per me è stata un’occasione per rivivere alcuni passaggi cruciali del percorso che mi ha portato a scrivere i due testi Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia e Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (cui ha recentemente fatto seguito l'ultima edizione: Comuni, comunità, ecovillaggi).
Per qualunque delucidazione rispetto agli ecovillaggi citati rimando al solito sito di viverealtrimenti.
Ringrazio naturalmente Rossana per l’opportunità che mi ha dato di raccontarmi.

Manuel, tu sei uno dei pochi studiosi in Italia che si occupano del tema degli ecovillaggi. Come ti è nata questa forma di interesse e da quanto tempo te ne occupi?
L’interesse mi è venuto intorno alla metà degli anni novanta, quando finii in Scozia con lo SCI (Servizio Civile Internazionale) per perfezionare il mio inglese malfermo. Mi ritrovai a fare volontariato in una comunità che si chiamava Gowambenck (non so se esiste ancora), assimilabile ad una comune fricchettona. Si stavano ristrutturando dei vecchi casali per creare gli alloggi della comune e, con l’occasione, entrai in contatto con una dimensione che in qualche modo avevo spesso sognato.

Volevi fare anche tu una comune?
Magari fare proprio una comune no, però ero affascinato dal fenomeno comunitario. Mi ricordo che a Gowambenck trovai tutti gli elementi che mi interessavano: una certa vicinanza alla cultura orientale -che già allora esercitava un richiamo su di me-, una bella immediatezza nei rapporti interpersonali, la natura, la presenza di animali, poi questa cultura fricchettona forte…mi ricordo le serate passate davanti al fuoco con alcuni comunitari che facevano i giocolieri o le canzoni dei Pogues suonate alla chitarra. Ricordo che, parlando con la fondatrice, le dissi: tutto quello che mi piace qui c’è e lei, Mary, ne fu particolarmente contenta. Credeva molto in questo progetto, in buona parte lo aveva finanziato di tasca propria.
Quando tornai in Italia, come ho scritto nel mio ultimo libro, avevo una certezza in più: avrei cercato altre comuni. Non subito in realtà perché ero all’Università, mi dovevo laureare ed avevo una relazione con una ragazza poco vicina a questo mondo. Se le parlavo di Gowambenck mi rispondeva: ecco, i fricchettoni, ma è mai possibile che non riesci ad apprezzare gente normale?! La cosa dunque finì, per un certo periodo, in cantina ma presto l’interesse si riaffacciò. In particolare quando studiavo sociologia della religione, avvicinandomi al movimento di Osho Rajneesh che aveva, tra le altre cose, una concezione peculiarmente comunitaria. E’ stato scritto un libro con alcuni suoi discorsi che si intitola La grande sfida. Il testamento spirituale di un profeta del nostro tempo. Quel libro è stato per me una rivelazione, nel momento in cui leggevo che lui ipotizzava un mondo dove non ci fossero più nazioni ma tante comuni cooperanti, nella grande libertà. L’istanza del superamento dello stato e della famiglia nelle comuni l’avevo già trovata ed apprezzata nel pensiero anarchico. Gli ambienti anarchici che avevo frequentato, però, mi avevano deluso. Non mi interessava l’aspetto conflittuale dell’anarchismo che purtroppo ho respirato ovunque in ambito anarchico. Mi interessava l’anarchismo romantico e propositivo di cui non riuscivo a trovare tracce concrete. Ricordo che, mentre leggevo il libro di Osho, mi illuminai all’idea che la grande sfida che lui proponeva potesse rappresentare una sorta di chiusura del cerchio in cui trovavo realizzate, almeno in teoria, le mie istanze “di crescita integrale” con le mie frustrate istanze utopiche.

Sì, direi che Osho, stando a quello che tu dici, può essere tranquillamente definito di tendenza anarchica
Sì, certo, anche se gli anarchici movimentisti non credo lo avrebbero mai accettato come “teorico”. Quando ho provato a parlarne con qualcuno di loro ho suscitato reazioni a dir poco indignate. Io credo ci sia uno scatto da fare, oggi, rispetto alla stessa cultura anarchica. Già quella degli anni ’70 trovo che sia vecchia. Il mondo è in continua evoluzione, negli ultimi decenni in maniera decisamente accelerata. Bisogna tenere il passo altrimenti si rischia una “letale” fossilizzazione. Io oggi non mi definisco più anarchico, soprattutto da quando il termine viene spesso associato alla feccia del Black Block. Le definizioni oramai mi stanno strette, fanno parte, a mio vedere, di un retaggio ideologico che oggi è antistorico. Per riprendere il monito di Oberto Airaudi, fondatore dell’esperienza comunitaria di Damanhur, “bisogna fare”, senza perdere tempo a definire e definirsi più dello stretto necessario. E vediamo bene che c’è molto da fare dunque masturbarsi troppo il cervello rischia di diventare un lusso insensato. Facendo marcia indietro, a suo tempo mi definivo (ancora non ero così insofferente con le definizioni) un “anarchico spiritualista”, avevo una visione “mistica” dell’anarchia e, come ti ho detto, mi interessava tutta la parte propositiva (senz’altro ancora attuale, in certa misura), dal “migliore” Bakunin in avanti: l’ipotesi di superare lo stato in una confederazione di comunità autogestite, realizzando un modello sociale più a misura d’uomo. L’incontro con Rajneesh e la mia prima esperienza in India (nel ‘98 sono stato due mesi e mezzo nel suo Ashram di Poona, poco distante da Bombay), rafforzò la mia vocazione anarchica che, in quel momento, ardeva un po’ sotto la cenere mentre l’avevo coltivata soprattutto studiando a Trento dal ’92 al ’94.

Cosa studiavi a Trento?
Sociologia. A Trento vivevamo in una specie di comune ed ho visto subito gli aspetti negativi: le famose cataste di piatti che nessuno lavava. Poi ho deciso di rilanciare, come ti dicevo soprattutto in corrispondenza con l’esperienza con Rajneesh. Nel ’99 mi laureai in sociologia con una tesi sul campo su Rajneesh ed il suo movimento.
Dopo la laurea finalmente mi sono messo sulle tracce di una comunità di cui sentivo parlare da quando vivevo a Trento: la Confederazione dei Villaggi degli Elfi.
Andai dagli Elfi nel ’99 e, ricordo, fu una folgorazione, come credo emerga chiaramente dal mio primo libro Comuni, comunita’ ed ecovillaggi in Italia.
Frequentando gli Elfi mi si aprì un mondo e mi avvicinai anche al CIR -Corrispondenze ed informazioni rurali-, un bollettino che veniva fatto allora, attraverso il quale contattai un’associazione anarchica di tendenza eco-comunitaria laziale: A.L.I.A.S. -Associazione di Libera Iniziativa Autogestita e Solidale-. L’associazione aveva un pezzo di terra nell’entroterra di Tivoli, in provincia di Roma. Andai lì nell’estate del ’99, con l’intenzione di collaborare a costruire alcuni edifici tradizionali (lestre) con materiale locale. Il resoconto di quell’esperienza, su Comuni, comunita’ ed ecovillaggi in Italia, ha fatto ridere migliaia di persone. Fu del tutto fallimentare. Di ritorno a Roma, mi sono iscritto ad un corso di giardinaggio alla Regione per imparare a lavorare la terra, a fare l’orto -avevo il rifiuto della carta stampata in quel periodo, fresco di laurea- avvicinandomi alla natura con la prospettiva di andare a vivere in campagna con la fidanzata (parliamo della fine del ’99 e dei primi mesi del 2000).
Poi ebbi un momento di crisi psico-fisica, mi resi conto che stavo andando in una direzione del tutto sbagliata e che dovevo rifare la pace con i libri, miei compagni di viaggio più del tosaerba e del decespugliatore. Decisi dunque di rientrare all’università e di fare un corso di perfezionamento in Movimenti e Istanze Religiose con la professoressa Maria Immacolata Macioti, con la quale mi ero laureato, allieva di Franco Ferrarotti. Il recupero della dimensione intellettuale, tuttavia, non andò a scapito della passione per la campagna, per gli Elfi, da cui sarei più volte tornato e la stessa dimensione comunitaria.
Iniziai dunque a fare ricerche di vario genere per conto di un privato, titolare di una scuola di conoscenza (con il quale collaboro ancora oggi) oltre a fare le bancarelle vendendo miele e prodotti biologici. Avevo un socio, vicino anche lui al mondo anarchico, che conosceva Angelo Quattrocchi della casa editrice Malatempora. Angelo aveva bisogno di qualcuno che gli vendesse i libri on the road e propose la cosa al mio socio che la propose anche a me. Mi sembrava una buona idea e dunque arricchimmo la nostra bancarella con i testi della Malatempora.

Angelo Quattrocchi è lo scrittore che ha fatto l’introduzione al tuo libro ed è studioso dei movimenti di Genova, vero?
Esatto. Lo andammo a trovare a casa sua (sede anche della casa editrice) a Trastevere, dove faceva il cocktail party ogni mercoledì sulla scia dei cocktail party di Einaudi e trovammo un buon accordo: ci dava il 50% su ogni copia venduta. Si creò dunque una collaborazione e, presto, un’amicizia. Allo stesso tempo con Bruno, il mio socio, eravamo legati al Gruppo Vegetariano Armando D’Elia di Roma. Vendevamo prodotti biologici e libri durante gli incontri settimanali. Ad un certo momento, trovando che l’ambiente del Gruppo Vegetariano Armando D’Elia fosse costituito in buona parte da eccentrici veri ed avendo fatto delle esperienze abbastanza forti con alcuni di loro (ad esempio un eremita protocristiano che viveva in una grotta in una frazione poco distante da Roma, con il quale feci un’intensa esperienza di digiuno esseno), pensai di raccontare tutto in libro.
Mi proposi dunque ad Angelo per scrivere un testo, un po’ sui generis, sul vegetarianesimo e lui accettò.
Il testo sul vegetarianesimo diede la stura alla mia prima pubblicazione sulle comunità intenzionali e gli ecovillaggi: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia che avrebbe avuto un buon successo, difatti oggi è praticamente esaurito (a breve sarà una rarità da collezionisti, un po’ come il rotolo di carta per telescrivente su cui Jack Kerouac scrisse On the road…).

Questo libro è unico nel suo genere, per ora in Italia, se non sbaglio, sei stato il primo a promuovere l’argomento…
Esattamente. Questo poi mi ha portato alla collaborazione con il mensile ecologico AAM Terra Nuova il cui direttore, Mimmo Tringale, è anche presidente della RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici). Per i 3 o 4 anni successivi ho girato tanti ecovillaggi (non solo in Italia, a quel punto avevo allargato lo spettro anche ad alcune importanti realtà estere: Findhorn Foundation, in Scozia, Christiania in Danimarca ed Auroville in India per citare le più importanti) scrivendo articoli per AAM Terra Nuova e puntando ad una seconda edizione di Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia. Decisi di pubblicarlo con la casa editrice del giornale dato che è da sempre il più vicino alla realtà comunitaria italiana e, in misura minore, estera. Con Mimmo, tuttavia, stavo avendo alcune difficoltà. Umanamente mi trovo bene con Angelo e meno con Mimmo, questo è un dato di fatto dunque cosa succede? Una sera ad un cocktail party semideserto in casa Quattrocchi -eravamo io, lui ed un’altra persona- tutti un po’ ciucchi dissi ad Angelotto (come lo chiamo affettuosamente io): sai che c’è, se tornassi indietro il libro lo rifarei con la Malatempora; con AAM stiamo andando davvero troppo alle lunghe e mi sto stancando. Io, tra l’altro, all’inizio avevo proposto ad Angelo di fare una co-edizione con AAM e lui (anche se non se lo ricorda) non ne volle sapere. Il progetto partì dunque integralmente con Mimmo ma quella sera, complice il vino di troppo, iniziammo, con Angelo, a meditare di rifare un saggio insieme. Chiaro che l’indomani, a mente lucida, ho pensato che non si poteva stare con un piede in due barche e che doveva finire lì. Il lavoro continua dunque con Mimmo ma avanza in maniera esasperantemente lenta. Arriva, un certo giorno, una telefonata di Angelo e mi dice: “bè però siete degli stronzi, questa cosa me l’ero inventata io. Io ho aperto la strada con il primo libro ed ora voi ne godete i frutti con il secondo”. Dire che l’abbia inventata lui mi sembra azzardato. Direi che l’abbiamo inventata insieme per non fare a gara di stupidi personalismi. Ricordo che quando eravamo in chiusura del libro Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, vedendoci dall’esterno era bello trovare il fricchettone maturo ed il giovane inquieto che, insieme, stavano realizzando qualcosa che, nel suo piccolo, avrebbe fatto storia, infatti eccoci qua che ne stiamo parlando.
Dunque dopo la telefonata un po’ furente di Angelo chiamo Mimmo, gli dico che qualche settimana prima con Angelo c’eravamo fatti un bicchiere di troppo ed era venuta fuori questa questione. Gli propongo di trovare un compromesso, nel momento in cui siamo noi tre i soli che ci occupiamo, a livello divulgativo, di comunità intenzionali ed ecovillaggi in Italia.
Mimmo in principio è, comprensibilmente, perplesso poi mi dice: se vuoi, con Angelo fate la seconda edizione di Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia ed io e te possiamo pubblicare Ecovillaggi d’Italia. Essere conteso tra due editori e l’idea di scrivere due libri stuzzica la mia vanità. Telefono ad Angelo e gli dico: io e te possiamo fare la seconda edizione di Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, fregatene di quello che facciamo io e Mimmo. Angelo mi risponde: sei la solita troia! Ma accetta contento. Dopo poco sarei partito per l’India, dove vivo la maggior parte del mio tempo in questi anni, iniziando a lavorare a due libri contemporaneamente. Di ritorno in Italia, al momento di firmare il contratto con Mimmo, lui ci ripensa perchè considera che due libri sullo stesso argomento possano farsi concorrenza tra di loro (ci si poteva pensare anche un tantinello prima…). La cosa si sta seriamente complicando quando Angelo trova una buona soluzione di co-edizione. In poco tempo riesco a fare di due libri un libro solo, senz’altro più completo del primo, di cui siamo tutti soddisfatti: Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo.

Nel tuo primo libro ho visto che ci sono degli Ecovillaggi iscritti alla R.I.V.E. e altri che non vi sono iscritti. Tu come hai fatto a sapere dell’esistenza di tutte le esperienze presenti sul territorio italiano? Hai consultato un archivio, oppure col passa parola sei riuscito a creare una mappa anche di quelle non segnalate?
Il primo lavoro che ho fatto è stato proprio un lavoro di monitoraggio. Il primo libro è del 2003 e oggi, dopo cinque anni, il monitoraggio non è ancora finito perché certe realtà non si raccontano. Adesso si possono trovare su alcuni network in internet. Comunque, per rispondere alla tua domanda, in principio è stata soprattutto una ricerca attraverso il passa parola.

Quindi ci sta che l’elenco che proponi non sia così completo. Ci potrebbe essere un margine di errore…
Sì, potrebbe essere incompleto. In realtà ci sono delle esperienze che mi sono state segnalate e che io ancora non ho considerato neanche nel secondo libro. Di questo secondo libro sto spingendo al massimo la distribuzione. Proprio stamattina ne ho spedito 20 copie alla comunità del Forteto che ha un gran bel punto-vendita. Presto andrà rifatto e certe lacune potranno essere colmate.

Nel tuo secondo libro hai scritto che un ecovillaggio è una comunità intenzionale, ma non tutte le comunità intenzionali sono ecovillaggi. Puoi dire qualcosa al riguardo?
Sì, una comunità intenzionale è generalmente costituita da un gruppo di persone che decidono di vivere insieme avendo un ideale o un obiettivo comune e con diversi margini di condivisione.
L’ecovillaggio è senz’altro una comunità intenzionale, con il valore aggiunto di una particolare attenzione alla “sostenibilità ecologica, spirituale, socioculturale ed economica”, per scomodare la definizione adottata dalla RIVE, intendendo per sostenibilità l’attitudine a soddisfare i propri bisogni senza penalizzare, anzi agevolando, le generazioni che seguono.

Quindi non considerare le comunità intenzionali religiose e studiare solo gli ecovillaggi è limitativo?
A mio modo di vedere sì. In generale credo sia saggio considerare il fenomeno comunitario in una prospettiva ampia altrimenti si rischia di ricadere nei limiti dell’ideologismo. Come ho scritto nel mio secondo libro, uno dei rischi della scelta di vita comunitaria può essere una sorta di “deriva settaria”, di tendenziale chiusura al resto del mondo (soprattutto nel momento in cui viene enfatizzata la propria autosufficienza, la propria autonomia integrale). Credo che un buon antidoto a questo rischio sia proprio mantenere gli orizzonti ampi e lavorare molto attraverso il networking. Il rischio di ripiegamento su se stessi è congenito all’essere umano. Credo uno psicologo lo possa spiegare facilmente. Ricordo il conflitto segnalato in psicologia sociale tra stabilità ed apertura. La stabilità comporta spesso una “stasi”, un accomodarsi in una determinata condizione. Salvaguardare la propria stabilità pone spesso in conflitto con le istanze di apertura, di conoscenza ed accoglienza di altro, altre persone, altre idee. Un eccesso di apertura può difatti recare il rischio di destabilizzazione della condizione acquisita. Allo stesso tempo, un’eccessiva attenzione alla stabilità rischia, nella peggiore delle ipotesi, di portare alla “cancrena”. Guarda, se mi passi un paragone per certi versi un po’ arbitrario, un rischio simile lo sto riscontrando in India con gli aspiranti asceti. La tradizione ascetica indiana (ed io vivo in una città tra le piu’ ascetiche dell’India: Varanasi) può essere anche vissuta nella prospettiva di un insegnamento per cui ciascuno può agevolmente bastare a se stesso e, nel momento in cui ci si libera dal bisogno e dal desiderio dell’altro, poggiando sulla propria riscoperta natura divina, si è veramente liberi. Io trovo sia semplicemente una bestialità. Conosco diversi aspiranti asceti che mi sembra stiano diventando sempre meno tolleranti, sempre più assolutisti, coltivando una natura pericolosamente solipsistica che rischia di portarli più ad un arido rincretinimento che ad una liberazione spirituale. L’uomo -e qui rientriamo nell’importanza dell’esperienza comunitaria- ha profondamente bisogno dell’altro per non dimenticare la contingenza, la natura relativa dei propri pensieri, delle proprie convinzioni. In questo è straordinario il testo di Martin Buber Ich und du in cui l’intellettuale chassidico e kibbutzista argomenta che un’autentica crescita spirituale può avvenire meglio in un profondo, per quanto complesso e a volte doloroso, rapporto con gli altri che non in solitudine, contestando in questo modo il forse frainteso ideale ascetico. Dico forse frainteso perchè la persona realmente realizzata spiritualmente vive in profonda comunione con gli altri; è colui che usa l’ascesi come alibi per vivere le proprie rigidità ed intolleranze, la propria incapacità a mediare che la fraintende sostenendo superbamente di non aver bisogno di nessuno. Ora, come ti dicevo, i rischi di chiusura esistono anche, per quello che ho potuto vedere, nell’ambiente comunitario, nel momento in cui le comunità nascono come piccoli laboratori di realizzazione di “un mondo migliore”. Può subentrare un senso di elezione, di superiorità, di pretesa indipendenza dal resto dei poveri mortali che ancora, poverini, vivono una vita normale. La superbia è annoverato, non a caso, tra i vizi capitali; è un’attitudine da cui la saggezza transculturale ha sempre messo in guardia. Dunque nelle comunità intenzionali e negli ecovillaggi credo si debba stare attenti ad evitare che piuttosto che rincoglionire da soli (come gli aspiranti asceti), si rincoglionisca in 7, in 20, in 30 o anche di più ma, ahimè, sempre si rincoglionisca! Credo, in una parola, non si debba mai perdere il dialogo con il mondo, il miserrimo, sfasciatissimo, vizioso, corrotto e straziato (e tuttavia meraviglioso) mondo ordinario pur facendo le proprie esperienze di crescita il più possibile integrale come “aspiranti asceti” o “aspiranti comunitari” o, piu’ semplicemente, “aspiranti esseri compiutamente umani”. Ritengo dunque sano un approccio il meno possibile ideologico, il meno possibile escludente, considerando con una certa benevolenza le diverse esperienze comunitarie senza troppi steccati, valorizzando il filo rosso che unisce realtà pur diversissime: la scelta, l’intenzione di essere comunità. Portando ora il discorso ad un livello più concreto, ci sono ecovillaggi di matrice espressamente religiosa ed altri no. Per esempio Damanhur è una comunità intenzionale sostenibile, non religiosa ma spirituale. Il fondatore gestiva un centro esoterico a Torino e ha elaborato diversi elementi di un percorso che oggi può essere definito via horusiana, un percorso che io chiamerei gnostico-esoterico (anche se loro sul fronte delle definizioni fanno un po’ i difficili, forse a ragione, dunque quanto ho appena detto è un mio punto di vista che, tuttavia, credo possa contribuire a dare un’idea di massima). Questo detto, non è che perché non è solo ed unicamente una realtà ecologista che si può dire che Damanhur non sia un ecovillaggio. E’ un ecovillaggio perché è una realtà indiscutibilmente sostenibile a prescindere dal fatto che abbia anche una matrice spirituale, gnostica o come meglio preferiscono loro. Prendendo un altro esempio, Torri superiore è un ecovillaggio tendenzialmente laico, in cui la componente religiosa è sostanzialmente assente e quella spirituale è tendenzialmente privata mentre l’elemento centrale, fondante è la vocazione ecologica.
MCF (Mondo di Comunità e Famiglia) è invece una rete di comunità intenzionali non sempre del tutto in linea con i principi ecologici, perchè talora viene data più importanza alla solidarietà, all’accoglienza di persone problematiche o ad una profonda crescita comune in aderenza ai migliori ideali del Vangelo (dunque può definirsi un'esperienza comunitaria di matrice religiosa). Allo stesso tempo va detto che Mondo di Comunità e Famiglia sta cercando di evolvere anche sul fronte della sostenibilità (si stanno organizzando per utilizzare sempre più energie rinnovabili). Il movimento ha diverse realtà comunitarie, sparse soprattutto in nord-Italia ma ultimamente anche nel centro-sud; alcune sono condomini solidali, a volte in aree periferiche di grandi città come Milano, altre sono casali in campagna, vecchie ville ristrutturate con diversi ettari di terreno dove fanno agricoltura biologica. Sono stato ultimamente a Berzano, una comunità del movimento dove vivono anche i fondatori: Bruno Volpi e l’instancabile moglie Enrica. Tra le altre cose ho scoperto che MCF, per statuto, è aconfessionale e che dunque può essere quasi arbitrario definirla sic et sempliciter una realtà di matrice cattolica (smentendo la reputazione che si e' fatta sino ad oggi). In questa esperienza comunitaria, centrale è la famiglia e dunque si vorrebbero coinvolgere anche a famiglie di un’altra religione, ad esempio una famiglia di marocchini (musulmani) o una famiglia di buddisti.

Tutte le realtà che hai visitato, si sono formate per opporsi al sistema capitalistico? Sono veramente come le definisce Miller delle “isole di alternativa in un mare capitalistico”? Hanno tutte le comunità, comprese quelle strettamente religiose una matrice comune di anticapitalismo e di anticonsumismo?
Secondo me no, perché è un universo essenzialmente eterogeneo. Ci sono alcune realtà che potremmo chiamare “antagoniste”. Un esempio classico, al riguardo, è la comune di Christiania alla periferia di Copenaghen. In Italia possiamo citare la comune anarchica di Urupia, in Puglia o gli stessi Elfi, per accennare alle esperienze più radicali. Poi ci sono realtà come Torri Superiore, la Comune di Bagnaia che sicuramente hanno una vocazione anti-capitalista, pur essendo meno “barricadere”. Merita menzione, poi, una realtà come il Forteto che, pur essendo particolarmente impegnata (ad esempio su tematiche quali l’affido di minori in difficoltà o nell’ambito della scuola) e pur a fronte di una dimensione comunitaria a maglie “relativamente strette”, è perfettamente integrata nel sistema di mercato. Riuscire a far convivere i due aspetti trovo sia un buon punto di forza di questa esperienza.
Ti ho fatto appena alcuni esempi, se ne potrebbero fare molti altri.

Per prendere le varie decisioni le comuni usano il metodo del consenso, un metodo che permette a ciascun membro di essere soggetto attivo nella realtà in cui vive. Riescono veramente a portare avanti questa democrazia diretta o al loro interno si ricreano quelle subdole dinamiche di potere per cui se qualcuno ha migliori capacità oratorie può imporsi meglio sugli altri?
Il metodo del consenso è una sorta di scienza ormai. Si sa che oltre un certo numero di persone (circa 200) non funziona più in maniera ottimale. Su questo terreno hanno avuto modo di specializzarsi nella comunità scozzese di Findhorn Foundation. Personalmente ho partecipato a diversi cerchi degli elfi (per quanto il cerchio elfico è un metodo abbastanza originale che non coincide integralmente con il metodo del consenso, pur essendo vicino). Certo, per quanto si voglia essere orizzontali, la personalità, il carisma, l’oratoria non possono non incidere. Formalmente non esistono capi e tuttavia credo ci sia, necessariamente, una selezione di leadership per cui chi parla meglio, chi ha più esperienza comunitaria o più carisma finisce per avere maggiore voce in capitolo. Per dirtela in breve, quando gli elfi si riuniscono in cerchio passandosi il bastone della parola, quel che dice Mario Cecchi -la figura più carismatica, generalmente il rappresentante di tutto il movimento- non è considerato alla stessa stregua di quello che dice l’ultimo arrivato. E’ anche giusto che sia così, giusto nella misura in cui è del tutto fisiologico. L’anarchico Michele Bakunin sosteneva che l’autogestione è un buon antidoto contro la cristallizzazione del potere ma anche che, nel suo ambito, il potere personale non può non avere modo di emergere. Lui stesso era trentatreesimo grado di massoneria.

Di fronte a queste dinamiche di potere che mi hai descritto, qual è invece una prospettiva reale di uguaglianza all’interno degli ecovillaggi? C’è qualche aspetto che migliora realmente la qualità della vita dell’individuo?
Secondo me l’uguaglianza sta nelle pari opportunità che vengono molto spesso offerte nelle esperienze comunitarie. La migliore qualità della vita credo sia data dai contesti generalmente naturali e dall’abbattimento di molti costi. Fuggire individualmente (o con appena la propria famiglia) in campagna, oggi, non è più semplice come poteva esserlo ai tempi del romanzo Due di due di Andrea de Carlo, quando un fazzoletto di terra con uno o più ruderi, in Umbria o Toscana, poteva ancora avere un prezzo ragionevole. In gruppo le spese si possono ammortizzare meglio e non solo quelle iniziali. In molte esperienze comunitarie, difatti, sono oggetto di condivisione anche le macchine, gli elettrodomestici, i computers eccetera. Con l’impoverimento progressivo anche dei cosiddetti “ceti medi” cui si sta assistendo da alcuni anni a questa parte, non è cosa da poco.
Non va dimenticato che molto spesso si condivide, in diversi modi, anche l’educazione dei figli ed anche questo migliora la qualità della vita degli adulti, nel momento in cui alcuni oneri, alcune responsabilità, sono distribuiti.
I rapporti umani in un contesto comunitario, poi, finiscono per essere più profondi ed autentici e questo può essere un altro fattore di miglioramento della qualità della vita, se consideriamo la solitudine angosciante di molte periferie metropolitane o dei quartieri-dormitorio.
Quest’ultima, tuttavia, può anche essere un’arma a doppio taglio. Inevitabilmente sorgono conflitti e non sempre i comunitari sono in grado di gestirli al meglio.
Un dato non proprio confortante è che circa il 90% delle esperienze comunitarie si arenano, falliscono.
Oggi, rispetto alle esperienze degli anni ’60 e ’70, si sta delineando una scienza della sostenibilità, della decisionalità orizzontale, della permacultura, dei metodi pedagogici alternativi, insomma di tutti quegli aspetti che possono interessare chi è coinvolto in un percorso comunitario. L’approccio è dunque meno improvvisato, meno spontaneista e, in virtù di questo, credo ci si possa aspettare dei buoni miglioramenti.

Quali criteri e quale metodologia hai utilizzato per analizzare le varie realtà?
In genere mi avvalgo del metodo storico comparativo. Per me è molto importante il background storico, il percorso che le diverse realtà di cui scrivo hanno avuto e lo spirito che avevano in principio ed hanno, nel tempo, maturato. Naturalmente gli elementi più interessanti su cui devo soffermarmi sono la decisionalità, gli accorgimenti ecologici, le modalità di gestione dei minori, l’autosufficienza alimentare ed energetica, l’organizzazione economica -se sono comunità a maglie strette (quindi con una cassa comune dove tutto è condiviso come possono essere per esempio Bagnaia, Urupia e il Forteto) o a maglie più larghe (come può essere ad esempio Torri Superiore o altre esperienze comunitarie)-.
Nel mio ultimo libro, in fondo alla descrizione di ogni comunità intenzionale ed ecovillaggio, ho inserito una scheda di sintesi in cui ne presento i dati essenziali. Ho anche considerato altre variabili, pensando a chi voglia andare in visita in una di queste realtà o stia coltivando l’idea di vivere in una comunità intenzionale o in un ecovillaggio. Dunque ho fatto cenno, nella scheda di sintesi, alle abitudini dietetiche del nucleo comunitario (se sono ad esempio vegetariani o vegani o altro) ed alla disponibilità all’accoglienza di nuovi membri.

Le comunità intenzionali che hai visitato sono tendenzialmente aperte oppure hai avuto delle difficoltà di interazione?
Tendenzialmente sono aperte. Ci sono poi quelle un po’ più criptiche o più strutturate, magari con ospitalità a pagamento (per quanto sono spesso previste formule come lo scambio-lavoro). In linea di massima, comunque, sono realtà relativamente aperte. A volte può esserci un po’ di diffidenza perché hanno avuto delle brutte esperienze e dei brutti articoli sui giornali.

Quali sono le fonti che hai utilizzato per lo studio delle esperienze comunitarie? Ti sei riferito ad altri studi o sei partito da zero?
Ho letto alcuni testi di sociologia (ad esempio Lo specchio, la rosa ed il loto, di Mario Cardano, uno studio comparato sulla sacralità della natura in cui sono coinvolti gli Elfi e Damanhur), alcuni di case editrici anarchiche (ad esempio Laboratori di utopia, dell’Eleuthera di Milano), qualcosa della casa editrice Ananda per quel che riguarda la loro esperienza comunitaria, ispirata agli insegnamenti di Paramhansa Yogananda ed altro. Non sono partito proprio da zero ma certo la letteratura disponibile, oggi, non è tantissima anche se, soprattutto in lingua inglese, ci si può avvalere di diversi, buoni testi.

Lavori empirici quindi non sono stati fatti sugli ecovillaggi…
Molto pochi. Sono state fatte diverse tesi di laurea, ma lavori empirici, se si esclude il testo di Cardano, che sappia io no. Siamo un po’ dei pionieri, in Italia. All’estero sono sicuramente più avanti. Tra le altre cose esiste un gemellaggio tra alcune università private americane ed alcuni ecovillaggi, nell’ambito dei quali si seguono corsi (di permacultura, di problem solving ecc…) che poi vengono conteggiati come crediti formativi acquisiti.

Un’ultima domanda: nell’ultimo anno c’è stato un aumento di interesse sugli ecovillaggi rispetto a soli due anni fa quando ho iniziato la mia tesi di dottorato. Come spieghi questo spostamento di interesse da parte dell’opinione pubblica?
A mio modo di vedere le motivazioni sono da ricondursi al fatto che, come ho scritto nel mio ultimo libro, le metropoli sono progressivamente meno vivibili e c’è un bisogno di ritorno alla natura sempre più condiviso e profondo. Soldi, come sappiamo, ce ne sono sempre meno, dunque l’idea della comunità intenzionale e dell’ecovillaggio (considerato che vivere insieme costa meno) può anche essere considerata un indicatore della crisi generalizzata. Io sono tornato in Italia dopo un anno di vita in Asia e ti posso dire che ho trovato un paese profondamente lacerato. Sono arrivato a Milano e mi sono trattenuto 15 giorni in provincia di Brescia, a casa di amici. Ho toccato con mano la profonda esasperazione per il fatto di essere costretti a lavorare di più di quanto si lavorasse alcuni anni fa, guadagnando la metà, avendo un potere d’acquisto sempre più penalizzato ed un fisco sempre più vorace. Arrivando nel centro Italia ho visto che le cose non vanno meglio (a Roma impazzano le svendite perchè i commercianti sono disperati, hanno i magazzini pieni di roba che stanno facendo fatica a smaltire). Insomma, la crisi è profonda ed a fronte di questo le comunità intenzionali e gli ecovillaggi possono rappresentare un baluginio, un’ipotetica via di uscita. Il sogno di vivere in un ecovillaggio può dunque anche essere visto, ripeto, come un indicatore di questa crisi ma bisogna stare attenti perchè poi, quando ci si trova a vivere materialmente insieme, se non si è sufficientemente preparati possono essere dolori. Convivere è difficile tra amanti, tra persone sposate, con i genitori; insomma ci sono delle difficoltà innegabili. Questo non vuol dire che bisogna essere disfattisti, ci sono delle realtà che funzionano bene e l’idea di creare una “scienza della convivenza sociale a maglie più strette” è sicuramente il modo migliore per affrontare le problematiche inevitabili. Come suggeriva Mimmo Tringale nell’ultimo incontro della RIVE: piuttosto che avventurarsi nella creazione di nuovi ecovillaggi è bene, intanto, rafforzare le realtà già in essere, approfittando per fare esperienza ed evitare di compiere scelte avventate.

mercoledì 6 agosto 2008

Comunita’ intenzionali ed ecovillaggi: alcune visioni possibili

E’ stato recentemente tenuto il dodicesimo incontro nazionale della RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici) presso uno degli insediamenti della confederazione dei villaggi elfici. Personalmente non ho avuto la possibilita’ di partecipare. Tuttavia, ha partecipato anche per me l’amica Rossana Guidi (rossanaguidi@libero.it), sociologa all’Universita’ di Pisa, di cui ospito di seguito la lunga relazione.
La dimensione comunitaria come scelta di vita alternativa si presta, naturalmente, ad essere vista e vissuta da molteplici prospettive. E’ affascinante proprio perche’ porta nei propri cromosomi il pregio della pluralita’. Una societa’ dove venga lasciato il giusto spazio ad esperienze di vita comunitaria -di stampo religioso o laico, gnostico o ecologico, pauperista o edonista o con diversi di questi elementi amalgamati insieme- puo’ candidarsi a diventare quella “societa’ plurale” che un autentico democratico, a mio parere, potrebbe vedere come piccola-grande fioritura della democrazia stessa.Quanto emerge da questa lunga relazione sono dunque diversi punti di vista che fortunatamente non esauriscono le possibilita’ ipotetiche e pratiche di una scelta di vita comunitaria e tantomeno di una scelta di “vivere altrimenti”. Per approfondimenti riguardo diverse comunita’ citate rimando al mio sito internet www.manuelolivares.it (presto on line in una versione “rivoluzionata”) e agli altri siti citati da Rossana -che naturalmente ringrazio per questo prezioso contributo- alla fine del suo lavoro.


Voglia di comunità
Quadro concettuale di riferimento
All’interno dei processi di liberalizzazione e di destrutturazione del mercato del lavoro, la vita comunitaria sembra essere una valida soluzione all’endemica incertezza prodotta dal nuovo modello capitalistico. L’aggregazione intenzionale di individui che sperimentano esperienze di democrazia partecipata secondo i principi di solidarietà, sostenibilità ecologica e rispetto delle diversità, emancipa infatti l’individuo dalla condizione di soggetto passivo di dinamiche sociali di globalizzazione, preserva le risorse naturali per le future generazioni e argina, per quanto possibile, i rischi prodotti dal sistema economico globale. Tale sistema, infatti, perseguendo il profitto, innesca in modo costante ed irresolubile disordini mondiali, catastrofi ambientali, induce la cultura della modernità avanzata al consumismo incontrollato e al gusto del superfluo, accelera un progressivo processo di individualizzazione che isola il singolo nella lotta per l’affermazione dei propri diritti sociali.
Questo processo di individualizzazione e di atomizzazione, causa del “lento ma incessante processo di smantellamento/distruzione della comunità”(Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Bari, 2005, p. 28) fa coincidere il proprio inizio con la nascita del capitalismo stesso e trova il suo culmine nell’attuale deregolamentazione del mercato del lavoro. Con la rivoluzione industriale infatti, “le masse vennero strappate a forza dalla vecchia, pesante routine (della rete di interazioni comunitarie governata dalla consuetudini) e scaraventate in una nuova e altrettanto pesante routine (dell’officina, governata dalle mansioni lavorative), dove la loro repressione poté meglio servire la causa dell’emancipazione dei soppressori. […] Per farli entrare nei nuovi panni, gli operai in nuce dovettero essere innanzi tutto trasformati in una massa, spogliati del vecchio abito di consuetudini comunitarie. La guerra alla comunità venne combattuta sventolando l’idealistico proposito di liberare l’individuo dall’inerzia della massa, ma l’obiettivo reale, anche se smascherato, di quel conflitto era esattamente l’opposto di quello dichiarato: distruggere il principale potere della comunità – quello cioè di definire ruoli e modelli – in modo da poter condensare le singole unità, ormai spogliate della propria individualità nell’informe massa operaia”(Ibidem, p. 31). “Una volta spezzati i legami comunitari che la tenevano unita, questa massa sarebbe stata soggetta a una routine completamente diversa, palesemente artefatta e sostenuta da una ferrea coercizione” . Lo sfruttamento coercitivo dell’operaio-massa, trovò la sua massima espressione all’inizio del xx secolo con l’organizzazione scientifica del lavoro di Frederick Taylor, basata sull’ottimizzazione e la standardizzazione dei processi produttivi.
Con la costruzione dei villaggi modello attorno alle fabbriche il processo capitalistico di smantellamento dei legami comunitari della tradizione contadina e artigiana raffinò le proprie armi: non più solo l’uso della forza e della coercizione per costringere i lavoratori all’utilizzo della macchina e della catena di montaggio, ma la creazione da parte dei capitalisti di un benessere fittizio per i lavoratori, basato sui valori morali, sulla pietà religiosa e sul consolidamento di fiducia nel capo-padrone, al fine di “creare ab nihilo un sentimento comunitario entro i confini della nuova struttura di potere”(Ibidem p. 34). A questo proposito negli anni ‘30 del Novecento Mayo intuì l’importanza dei fattori morali per l’aumento della produzione. “Un ambiente di lavoro amichevole e familiare, l’attenzione prestata dai dirigenti e dai capomastri allo stato d’animo egli operai”(Ibidem p. 37) infatti, risultavano per la produzione, più importanti di qualsiasi altro incentivo materiale.
Con l’attuale destrutturazione del mercato del lavoro, infine, il processo di atomizzazione e di distruzione dei legami comunitari è portato al suo massimo grado. La frammentazione della classe lavoratrice e la progressiva individualizzazione dei contratti di lavoro impediscono infatti all’individuo di sentirsi parte integrante di un ‘noi collettivo’ capace di affermare i propri diritti. Le spiegazioni del progressivo indebolimento e della minore incidenza delle lotte sindacali nelle scelte dei governi risiedono nella progressiva affermazione delle politiche economiche neoliberiste, che mirano ad abolire il contratto collettivo di lavoro, ad individualizzare le forme contrattuali, a delocalizzare e frammentare le imprese e ad annullare lo Statuto dei lavoratori.
In questa situazione di incertezza sociale e di debolezza contrattuale, si riafferma con forza il valore delle comunità intenzionali, dove la collettivizzazione della proprietà, la partecipazione democratica e il perseguimento di una vita sostenibile, contrapponendosi alle forze divisorie e atomizzatici dell’economia capitalistica, diventano una delle possibili soluzioni per combattere le instabilità e le incertezze dell’epoca della globalizzazione.
Contro lo smantellamento della comunità attuato con raffinata cura dal sistema capitalistico, dunque, un piccolo seme di speranza, un fermento culturale, sta silenziosamente gettando le proprie basi nel torpore della notte, affinché il risveglio di una nuova civile coscienza comunitaria possa finalmente creare le tanto aspettate condizioni per un futuro sostenibile.

1 XII Incontro nazionale R.I.V.E.
1.1 Breve presentazione del R.I.V.E.
Mimmo Tringale: Molto semplicemente il R.I.V.E. nasce come associazione, come rete di collegamento tra gli ecovillaggi che già esistono in Italia e di quei progetti, di quei gruppi di persone che vogliono realizzare qualcosa del genere. La realtà degli ecovillaggi in Italia non è molto ricca come quella di altri Paesi, soprattutto del nord Europa. Possiamo dire che sono una quindicina le realtà sparse in Italia e tra queste quindici forse sono soltanto tre o quattro le esperienze con un certo significato. Il R.I.V.E. le raggruppa quasi tutte. L’attività principale finora è consistita nell’organizzare questi incontri che esistono da 12 anni che ogni anno si svolgono in un ecovillaggio diverso per far conoscere la vita in un ecovillaggio. La cosa interessante è che ogni ecovillaggio ha la sua storia: gli Elfi sono molto diversi da Bagnaia, Bagnaia è molto diversa da Damanhur, Damanhur è molto diversa da Torri superiore…quindi vi suggerisco di andarle a visitare proprio di persona le varie realtà: sono realtà aperte, sia perché sono disposte a ospitare le persone, sia perché molte realtà sono in grado anche di accogliere nuovi insediamenti. Siccome è molto difficile creare un ecovillaggio ex novo, forse, il suggerimento quando sono nella redazione di AAM Terra Nuova, che funge un po’da segreteria, spesso ricevo delle telefonate del tipo: vorrei fare un ecovillaggio, chi è che mi può dire come si fa?… Che è una domanda un po’ridicola, perché è molto difficile creare un ecovillaggio ex novo. Ricordo che molti anni fa un esperto di ecovillaggi che ha girato un po’ tutto il mondo, quando io gli chiesi qual è il segreto per realizzare un nuovo ecovillaggio, mi disse che il primo passo è quello di andare a stare in un ecovillaggio che già esiste, perché forse ha molto più senso rafforzare le realtà che già esistono, che crearne uno ex novo. Quindi la preghiera è quella di visitare queste realtà in Italia come all’estero e poi da lì raccogliere idee nuove per decidere che fare. Negli ultimi anni accanto all’idea dell’ecovillaggio si è molto sviluppata anche l’idea del cohousing, che è un po’un ecovillaggio più soft e una scelta meno radicale. Cohousing è un termine inglese che vuol dire in qualche modo co-abitazione, sono nuclei di abitazioni spesso in città, ma non solo, dove accanto all’appartamento del nucleo familiare o individuale, ci sono degli spazi comuni che possono essere piccoli spazi come la cucina, ma anche spazi grandi e molto diversificati come la palestra, la cucina, l’asilo per i bambini, l’orto e così via. Come per gli ecovillaggi anche per i cohousing ogni realtà ha una storia a sé. Molti ecovillaggi sono simili ai cohousing e molti cohousing sono simili agli ecovillaggi. Sia cohousing che ecovillaggio sono termini molto elastici che servono per definire delle realtà, ma ci sono delle esperienze tra loro molto diversificate. Qui sono presenti diversi ecovillaggi, un’altra possibilità per chi partecipa a questi incontri è rapportarsi direttamente con queste persone, quindi chiedere informazioni, scambiare pareri, fare richieste, sabato ci saranno degli spazi dedicati a questi scambi. Gli incontri tematici che proponiamo non sono delle conferenze, ma sono delle esperienze raccontate dalle persone che vivono negli ecovillaggi di come essi affrontano l’aspetto dell’educazione, dell’economia…altre cose ancora… molti di voi penso o spero sono lettori di AAM Terra Nuova che è un po’ l’organo ufficioso che fornisce informazioni sulla rete degli ecovillaggi.

1.2 Breve presentazione del G.E.N.- EUROPE
Casimir di Torri superiore: la rete europea degli ecovillaggi è organizzata in modo simile a quella italiana. Siamo circa 90 persone. Ci sono incontri annuali, dove vengono persone di tanti ecovillaggi sparsi per l’Europa e nel mondo e questo nel corso degli anni porta a un’amicizia e a un lavorare insieme veramente molto importante. Nell’incontro annuale ci sono delle conferenze dove ognuno presenta il proprio ecovillaggio, cerchiamo di darci tutti una mano. C’è il sito del G.E.N. dove si possono trovare tutti gli indirizzi dei vari ecovillaggi e poi riviste come AAM Terra Nuova e altre riviste europee che danno ulteriori informazioni sulle nostre organizzazioni. Noi stessi cerchiamo di pubblicare articoli su queste riviste per descrivere e divulgare le nostre esperienze. La rete europea ha trovato dei fondi destinati a dare un sostegno ai vari ecovillaggi. Inoltre grazie a questi fondi il G.E.N. ogni anno dà un premio (mediante votazione) per il miglior ecovillaggio europeo. Quest’anno ha vinto la comune di Bagnaia per il lavoro che fanno, le energie che mettono e l’impegno per la pace in Palestina…oltre che per il vino e per come si mangia a Bagnaia…
Alfredo di Bagnaia: il consiglio direttivo del G.E.N. è multinazionale. Abbiamo dentro un rappresentante della Turchia, della Croazia, della Finlandia, della Germania e dell’Italia (Damanhur è nel consiglio direttivo per l’Italia). C’è una rappresentanza veramente molto vasta dell’Europa. Il movimento degli ecovillaggi si sta rafforzando notevolmente nell’est europeo adesso anche nei Balcani e in Russia c’è una forte spinta in questa direzione. Riguardo alla Palestina noi siamo in contatto con un’associazione che si chiama windows for peace, organizziamo ogni estate un incontro per la formazione di formatori di pace per creare ponti di dialogo tra israeliani e palestinesi, creando occasioni di confronto perché la condizione che esiste è di totale ignoranza e di totale chiusura da parte di entrambe le culture. Questa associazione si sta ovviamente impegnando contro il muro, contro l’occupazione israeliana e cerca di mettere insieme pacifisti israeliani e pacifisti palestinesi, creando ponti di confronto e di dialogo. Noi attivamente appoggiamo questo e offriamo Bagnaia come base logistica per gli incontri. Anche Noceto ha partecipato e ci ha appoggiato questo progetto, inoltre anche le amministrazioni comunali e del territorio locali e la fondazione del Monte dei Paschi di Siena danno contributi per la realizzazione di questo progetto. Questo ovviamente ci dà le risorse finanziarie necessarie per portare avanti il progetto.

2. Incontro tematico: Ecologia nella quotidianità degli ecovillaggi.
Partecipano: Claudia di Torri Superiore, Sonia di Hodos, Mario degli Elfi, Marilia di Basilico, Amy di Bagnaia, Antonio di Basilico, Alfredo di Bagnaia, Bruno di Noceto e Ottavio di Campanara.

Mario degli Elfi: c’è un modo semplice per andare verso una decrescita che sia veramente felice è quello di riuscire ad essere autosufficienti, di procacciarsi il cibo con le proprie mani. Riuscire a costruire un villaggio che sia autarchico e che riesca a produrre tutto quanto. E’ un miraggio che è esistito fin dagli albori della storia ed è stato praticato più dai monaci che dai laici. I monaci del monastero riuscivano a coltivavate l’orticello, a fare riflessione a unire la spiritualità alla prassi quotidiana. E questa è un po’ una filosofia che però ricalca anche il nostro spirito, uno spirito laico dell’ecovillaggio degli Elfi che cerca di perseguire un tenore di vita che è sobrio e tende a uscire fuori dagli schemi e dai meccanismi della società. La cosa più difficoltosa, non è tanto riuscirsi a rendere autosufficienti e a produrci tutto il nostro cibo, perché di orti ne possiamo fare a volontà, qua terra ce n’è e spazio c’è quanto se ne vuole, però una cosa che viene ed incide è quando per esempio nascono i figli, quando ci sono tanti bambini, ci siamo trovati ad affrontare il problema che non eravamo più in grado di zappare terra a sufficienza per mantenerli con le nostre mani. Allora dalla zappa siamo passati al trattore e questa è la logica che rafforza l’inquinamento della mente, perché a un certo punto entri in un vortice, in un meccanismo che poi hai bisogno di avere sempre di più. Il mezzo innanzi tutto costa, è molto oneroso e quindi devi andare a lavorare, devi trovare il denaro e quindi ti inserisci nel meccanismo della produzione. Allora rinunciare alla tecnologia non è semplicemente un fatto che è quello di essere dei pionieri verso una preistoria, ma è proprio quello di essere integri nella nostra spiritualità, nella nostra autodeterminazione, di non essere dipendenti da un mercato e da un denaro che ci inquina… e quindi saper usare l’energia per essere più autosufficienti possibile, l’energia che non è solo quella fisica, ma anche mentale e di saper istaurare delle relazioni che siano umane e integre e veritiere, che non siano false e ipocrite, ci si deve dire sempre in faccia le cose e questa è una condizione forte dell’ecovillaggio. Poi non c’è interesse ad essere belli esteriormente ed averci una facciata che sia fantastica e poi invece all’interno ci si scanna in famiglia, si scaricano le nostre problematiche e le nostre tensioni sui figli. Quindi tutto rientra nella quotidianità di riuscire a vivere tutte le relazioni, di riuscire a pulire tutti i retaggi del passato e i nostri condizionamenti che abbiamo avuto fin dall’infanzia. E questo è un processo che è di lunga durata perché inizia quando nasciamo…
Sonia di Hodos: noi siamo partiti da un’ecologia della mente. Come gruppo ci siamo conosciuti una quindicina di anni fa, e abbiamo iniziato un percorso di lavoro su di sé. Quindi siamo partiti da questo discorso di pulire proprio le relazioni, pulire se stessi ecc. Dopo è nata l’esigenza di pulire e cambiare anche il nostro stile di vita. Noi vivevamo in città, facevamo dei lavori normali ecc. e da lì si è fatto un passaggio in più, anche se per noi raggiungere l’autosufficienza come diceva Mario è ancora un obiettivo molto lontano. Abbiamo un orto sinergico, ci facciamo il pane, ci facciamo le cose che siamo in grado di fare, ma siamo lontani dall’autosufficienza anche se è una cosa che vogliamo percorrere. Siamo partiti da lì, abbiamo cominciato a confrontarci con il consumismo, a non volere essere consumisti, a eliminare e a fare certi tipi di scelte, ad insegnare ai figli certe cose invece di altre…stiamo quindi procedendo in due percorsi: un’ecologia interiore e un’ecologia esteriore. Per ora mi fermerei qui, dopo tanto se ci sono delle domande posso scendere più nel dettaglio.
Claudia di Torri Superiore: noi a Torre superiore siamo nati circa 20 anni fa come un’associazione culturale, non c’era l’idea di un ecovillaggio e di una comunità, quello si è sviluppato anni dopo. Durante l’estate ospitiamo parecchia gente anche per guadagnare soldi. Quindi abbiamo questo problema che durante l’estate siamo in molti, mentre d’inverno in pochi. Abbiamo il problema che la terra in Liguria è molto stretta e povera, noi cerchiamo di produrre sempre di più, facendoci il nostro orto e di comprare cibo biologico, per il momento il nostro obiettivo e quello di raggiungere durante l’estate una quota del 50% di autosufficienza, che già per noi è un bel passo. Abbiamo inoltre un progetto di costruire un impianto abbastanza grande di pannelli solari, di essere autosufficienti con l’acqua durante l’estate, facciamo compost-toilet, facciamo il pane, cercando di ridurre il più possibile il nostro impatto sull’ambiente.
Marilia di Basilico: anche noi come miraggio abbiamo quello dell’autosufficienza e dell’autoproduzione, si vive in case di paglia e si cerca di essere più ecologici possibile, ad esempio riducendo l’utilizzo dei trasporti, poi non abbiamo energia elettrica. Quando è possibile andiamo a piedi e nei casi più indispensabili cerchiamo di usare una macchina per trasportare comunque più persone. Il tipo di agricoltura promossa è quella naturale, abbiamo infatti degli orti sinergici. Cerchiamo di capire come la natura si organizza (a cicli chiusi) e noi ci si ispira a questi cicli cercando di imitare per quanto possibile questi equilibri ad esempio nello smantellamento dei rifiuti. Dalla ASL abbiamo avuto il permesso di fare compost-toilet anche dentro casa, perché in questo modo si evita di mandare in falda quello che nei pozzetti si riesce poco a smaltire. Abbiamo dei piccoli sistemi di fitodepurazione per gestire i nostri scarichi di cucina e i rifiuti organici li utilizziamo per fare compost.
Antonio di Basilico: l’ecologia dei rapporti viene curata con la comunicazione non violenta e il metodo del consenso e quanto altro ci viene per poter vivere in armonia… dirci tutto e in modo rispettoso e amorevole. L’amore è il principio ispiratore sia nei rapporti all’interno dell’ecovillaggio, sia nei rapporti con gli altri ecovillaggi. E’ bellissimo ogni volta incontrarci perché ci si ritrova in famiglia.
Bruno di Noceto: sono qui perché due settimane fa abbiamo deciso di venire a vedere un po’ cos’è il R.I.V.E., Alfredo sostiene che noi siamo un ecovillaggio, in realtà noi non l’abbiamo ancora capito cosa siamo realmente…lui dice che abbiamo tutti i requisiti. Noi siamo una comunità composta da cinque famiglie vicino a Siena e condividiamo una serie di cose. Abbiamo comprato insieme un posto circa 18 anni fa, un posto che abbiamo diviso poi per cinque famiglie. Si usano insieme attrezzi agricoli, acqua, per guardare i bimbi, per cucinare…non abbiamo una cucina in comune, ma abbiamo delle singole famiglie che a turno cucinano per tutti…ci si alleggerisce un po’il quotidiano e i numerosi impegni che uno ha soprattutto quando ci sono dei bimbi piccoli. Man mano si è sviluppato questo aiuto reciproco e abbiamo messo su dei pannelli solari per l’acqua calda, un impianto fotovoltaico, dopo anni abbiamo messo su un impianto di fitodepurazione. Abbiamo fondato anche un’associazione culturale, che presenterà più tardi il mio amico che non è ancora arrivato. Tratterà la parte dell’ecologia della mente e della spiritualità che non mi sento di rappresentare, io sono molto più pratico e abituato a lavori che nessuno vuole mai fare..
Alfredo di Bagnaia: io presento brevemente quello che facciamo a Bagnaia. Nella comune di Bagnaia noi abbiamo un’economia totalmente condivisa e questo ha molto a che fare con l’ecologia, perché ciò ci consente di poter programmare i nostri consumi, sia per quanto riguarda l’uso del telefono, dell’elettricità, delle macchine, sia per quanto riguarda il cibo e le necessità della famiglia. In un ambito siamo smodati – e cioè il cibo!! – chi è venuto sa che si mangia bene!! Però i prodotti che mangiamo sono tutti prodotti da noi coltivati. Siamo autosufficienti dal punto di vista alimentare, potremmo dire per l’80, 85%. Quello che tiriamo fuori, sono ad esempio la pasta biologica il pane (ogni tanto ci facciamo il pane per conto nostro) e saponi ecologici. Dove non arriviamo a produrre, si cerca comunque di acquistare prodotti biologici. Per quanto riguarda le lavatrici, noi utilizziamo delle noci saponarie, cioè delle bacche che sono molto efficaci e non inquinano per nulla e incoraggiamo anche voi nelle vostre case a fare altrettanto. Vi è anche un rapporto ecologico tra di noi, cioè noi da anni adottiamo il metodo del consenso, portiamo avanti la comunicazione ecologica e non violenta, abbiamo fatto corsi a questo riguardo per formarci in questa direzione, cerchiamo di mantenere un livello di comunicazione elevato tra di noi e ovviamente adottiamo il massimo rispetto per le posizioni reciproche. Da un punto di vista dell’impianto ecologico, abbiamo pannelli solari, utilizziamo legna e bio-masse per il riscaldamento invernale, abbiamo 2 caldaie che funzionano a legna. Questo anno mettiamo in piedi pannelli fotovoltaici in grado di coprire fino ai 2/3 dei nostri fabbisogni elettrici, e poi abbiamo intenzione – e su questo Noceto è molto più avanti di noi – di mettere su un impianto di fitodepurazione. Realizzeremo una fitodepurazione abbastanza rudimentale, grazie a un piccolo laghetto, abbiamo ricavato una vasca di 4 metri e mezzo di profondità e 40 metri di larghezza e 20 di lunghezza nella quale noi raccogliamo le acque piovane. Abbiamo un sistema di incanalamento delle acque fino al laghetto che noi utilizziamo per i nostri due orti, uno biologico e uno sinergico.

Domanda: ho vissuto nella comunità in Germania per 10 anni, me ne sono andato perché voglio vivere ecosostenible e la gente lì non era interessata a raggiungere l’obiettivo dell’ecosostenibilità. Volevo chiedervi cosa significa per voi e come si raggiunge l’ecosostenibilità?Il tema per noi è molto importante perché abbiamo anche noi un nostro progetto comunitario da realizzare.

Marilia di Basilico: Per noi è un obiettivo prioritario, penso per tutti gli ecovillaggi dovrebbero avere questo obiettivo.
Mario degli Elfi: però è anche una condizione che si diversifica da persona a persona che hanno urgenze diverse. Noi rispettiamo anche quelle persone che non perseguono una vita non molto ecosostenibile. Nella convivenza accetti anche le varie eterogeneità. E’ per noi molto importante rispettare le diversità di tutti gli appartenenti della comunità, anche se cerchiamo sempre di spostare l’attenzione sulla ecosostenibilità. Tra noi ci sono delle persone che hanno un comportamento più radicale, che non hanno un soldo in tasca, non producono immondizia, non scendono in paese, fino ad arrivare al paradosso che c’è un nostro figlio che ha la televisione in camera sua con l’antenna parabolica. Sono scelte individuali e sono tutte rispettabilissime. La comunità interviene dicendo a noi non ci piace, però dobbiamo rispettare le scelte individuali. Le divergenze di opinioni sono cose che succedono, noi dovremmo arrivare a raggiungere un equilibrio tale che le scelte individuali devono essere rispettate dalla comunità, che comunque ha un ruolo importante di guida.
Alfredo di Bagnaia: gestiamo la situazione in questo modo: noi abbiamo una televisione dove chi vuole può vedere i programmi normali e un’altra televisione con il videoregistratore. Dopodichè c’è un’altra televisione che è ammessa nella camera di un nostro comunardo che ha alcuni problemi di carattere psicologico e allora per lui abbiamo deciso di lasciargli la sua televisione dove ci guarda le partite di calcio, perché lui è veramente un grande appassionato. Abbiamo quindi trovato un compromesso al minimo. Per quanto riguarda le macchine stiamo cercando di mettere su ciascuna un metano gpl, anche se non tutte sono predisposte e istallate allo stesso modo, ma cerchiamo comunque di procedere in quella direzione. Ci teniamo molto alla differenziazione…a parte il fatto che abbiamo la terra e l’organico lo riutilizziamo immediatamente, e per quanto riguarda l’inorganico abbiamo una stanzetta predisposta per la raccolta differenziata e una volta ogni 10 giorni carichiamo il nostro furgone e lo portiamo nelle aree adibite alla raccolta differenziata del nostro comune. Il 26 buttiamo via un grosso saccone di indifferenziata…(fate il conto rispetto a quello che viene consumato da una semplice famiglia di tre persone), questo è il quadro complessivo, poi ci sono ovviamente tante attenzioni per l’agricoltura biologica: usiamo il nostro letame e non fertilizzanti chimici, né pesticidi di nessun genere. Stiamo sperimentando forme di coltivazione della vite -d’accordo con l’agenzia regionale toscana- che non necessitano dell’uso del solfato di rame, così come un’altra attività che portiamo avanti è quella della riscoperta dei semi antiche e autoctoni per quanto riguarda il grano, le angurie, i meloni e via dicendo. Questo programma è portato avanti in collegamento con l’Università di Firenze. Ci sono quindi una serie di attività che si fanno nell’ottica di una riproposta ecocompatibile e cercando anche -per quanto riguarda i nostri bisogni quotidiani- di limitare al massimo lo spreco. Tranne appunto per il cibo, perché appunto ripeto da noi non è sprecato! Per i telefonini noi abbiamo resistito fino a tre anni fa negandoli e cercando di non introdurli. Avevamo un solo telefonino per tutta la comune. Oggi ne abbiamo due, anche se diversi di noi, facendo attività esterne, ne hanno comunque bisogno per motivi di lavoro (anche se la ricarica se la autopagano…tenete conto che se la pagano sulla base della loro paghetta. Ciascuno di noi ha infatti una paghetta mensile di 165 euro per chi lavora dentro e 180 euro per chi lavora fuori, deve stare anche molto attento quante telefonate fa. Quindi il tutto con parsimonia).

Come nasce un ecovillaggio? Da un progetto, da un gruppo? Prima c’è l’interazione del gruppo o viceversa l’interazione viene a posteriori?

Bruno di Noceto: noi siamo un raggruppamento di famiglie e siamo partiti comprando una proprietà che poi abbiamo suddiviso. Ciascuno ha un bosco, un po’ di terra per seminare e un orto. Ci siamo messi insieme per il buon senso e non per motivi ecologici o spirituali. E’ chiaro ci sono dei problemi, ma sempre all’interno di un contesto di crescita sia dalla parte spirituale, sia da quella di responsabilità ecologica ecc… Anche per quanto riguarda la precedente domanda delle specializzazione dei ruoli, il tutto si è diviso spontaneamente in base alle proprie attitudini. Io ad esempio mi occupo del trattore perché sono l’unico che c’ha passione, un altro è più portato a scrivere delle lettere per i rapporti esterni. Ognuno contribuisce in base a quello che gli piace e che gli riesce di fare. Però, ripeto, noi siamo un po’ diversi perché non siamo una comunità come Bagnaia o come altri ecovillaggi qui presenti. Ognuno nella propria famiglia decide autonomamente su tutto. Ad esempio c’è chi ha tre televisori. A me la televisione non piace tanto, ma a mia figlia sì. Quindi ci sono i problemi come in tutte le famiglie.
Mario degli Elfi: il nostro percorso è stato un po’ facilitato ed è diverso dal percorso che hanno fatto loro o altre comunità, perché abbiamo occupato i terreni di questa montagna e della montagna di fronte e occupando i terreni non c’erano assunzioni di responsabilità economica di portare avanti un’azienda; c’era una vita selvaggia e agreste e per certi aspetti era solo spontanea, perché sulla base di questo stile di vita le persone si sono messe insieme e si è creata anche una selezione: le persone che non si integravano in questa modalità di vivere e che avevano altre esigenze ad un certo punto se ne sono andate e la cosa è stata molto fluida per un certo numero di anni -perché non c’erano figli- era un’avventura vivere qua. Era una cosa che andava verso una produzione di autosufficienza giornaliera, non c’era tanto il pensiero di accumulare e di portare avanti progetti. I progetti si sono pianificati nel momento in cui nelle famiglie sono subentrati dei figli, le cose sono diventate più stabili alcuni nuclei si sono insediati e ora siamo qua da trenta anni. Anche se certi villaggi hanno ancora un aspetto primordiale che è quello della spontaneità e dell’immediatezza e di condivisione immediata con chiunque viene e poi sulla base del feeling si continua a vivere insieme oppure no. Però non c’è una responsabilità economica, quando uno si stanca di vivere qua, liberamente prende e se ne va.
Sonia di Hodos: Per quanto riguarda l’obiettivo ecologico è prioritario, quindi si cerca tutte le volte di arrivare lì. Ti posso fare un esempio di quando sono entrata io. La domanda era se ce la facevamo a levarci di torno una macchina. Alla fine non è successo, ma se qualcuno si fosse opposto nel dire io alla macchina non voglio rinunciare per i miei interessi personali, questo sarebbe stato in profondo contrasto con la comunità, perché uno avrebbe anteposto l’interesse individuale a quello collettivo. Lì uno ne parla, cerca di capire cosa c’è sotto, magari c’è un problema di potere e di grossa individualità e quindi si cerca di scardinare queste dinamiche individualiste. Per quanto riguarda i figli sono d’accordo con Mario, perché entrano in ballo tante cose. I figli sono della comunità, si prendono le decisioni insieme, non le prende il genitore, però c’è molta libertà. Noi siamo una comunità di psicosintesi e quando abbiamo voluto cambiare stile di vita abbiamo voluto mettere tutto in comune, quindi la casa è in comune, i beni sono in comune, le macchine, le nostre entrate. Siamo nati prima come gruppo di persone, dopo è venuta l’idea di questa organizzazione.

Le vostre comuni sono aperte a tutti? E come vi comportate con le persone che non si comportano come dovrebbero?

Mario degli Elfi: l’ospitalità è aperta e chiunque può venire da noi. Le persone vengono e stanno da noi quanto vogliono. Se poi intendono rimanere si cerca di capire se sono accettati dalla comunità. Questo è un processo abbastanza naturale. Se le cose vengono da sé e funzionano naturalmente la persona rimane a tempo indeterminato. Se le cose non funzionano e ci sono dei problemi, si fanno dei cerchi che cercano comunque di integrare questa persona e di farla ragionare, facendogli capire dove è andata fuori dal percorso… e questo processo vuol essere un arricchimento reciproco, perché non è detto che noi si debba aver ragione e lei torto. L’esclusione diventa gioco-forza quando la persona non riesce proprio ad integrarsi, ma a quel punto è la persona stessa che si allontana spontaneamente. E’ capitato raramente che siano state scacciate delle persone, e in questi casi si trattava di persone che erano comunque andate fuori di testa e turbavano l’equilibrio della comunità. Spesso il nuovo arrivato è anche un banco di prova per il gruppo stesso, perché si creano nuove dinamiche che possono anche turbare il gruppo oppure rafforzarlo.
Antonio di Basilico: la storia è un po’ diversa perché Basilico ha la sua particolarità. Rispondo un po’ alle varie domande che sono state poste in precedenza. Basilico è nato dall’incontro di due gruppi di persone: un gruppo di persone cercava il posto per fare il progetto e l’altro aveva il posto e cercava persone per fare il progetto. Questi gruppi si sono incontrati e adesso Basilico ha un progetto nella valle del Bisenzio ed altre persone che stanno in giro in varie altre realtà. Nell’ultima assemblea ci siamo molto chiariti e abbiamo preso basilico come la terra o l’ombrello che ci abbraccia su questa idea che ci unisce in questo stile di vita, ma poi ci sono differenti progetti: c’è il progetto Corricelli che sta andando avanti nella ristrutturazione come poi ci spiegherà Marilia di come è organizzata l’accoglienza e la possibilità di partecipare; un altro progetto in evoluzione nel cilento dove un gruppo di persone sta cercando di mettere su un’altra realtà e un altro ecovillaggio; un altro gruppo è poi nel torinese che sta cercando di crearsi una propria realtà. Sono quindi varie realtà che sono abbracciate da Basilico. Per quanto riguarda il cilento, posso parlare di più perché ne faccio parte, è in ampliamento. Stiamo cercando terreno per allargarci e avere finalmente anche qualche cosa nel sud, perché gli ecovillaggi come vedete sono accentrati in Toscana, poi ce ne sono qualcuno al nord, poco nel centro-Italia, nel sud-Italia eccetto Urupia (che ha partecipato alla costituzione della R.I.V.E., ma si è in seguito distaccata, forse anche per una questione di oggettiva distanza) ce ne sono veramente poche.
Marilia di Basilico: per il momento non abbiamo la possibilità di accogliere d’inverno, mentre in estate la situazione migliora. Stiamo anche costruendo una nuova casa di paglia e ci fa molto piacere che le persone vengano a trovarci e a darci anche una mano. Quello che facciamo è lavoro di gruppo autogestito e lavoro insieme. Per adesso in cinque anni abbiamo avuto solo una volta il problema di una persona che si è allontanata dal nostro ecovillaggio, ma alla fine non è stato nemmeno un grosso problema. Di solito è sempre venuta gente che con noi si è sempre trovata molto bene. Penso comunque che parlarsi sinceramente sia sempre la soluzione migliore, vedere quali sono i punti in comune e se è il caso di stare veramente insieme oppure no. Per quello che riguarda che cosa chiediamo noi alle persone che vengono, noi chiediamo di partecipare alle cose che facciamo, anche se uno può venire solo a farsi una vacanza perché magari avverte il bisogno di stare una settimana dentro il bosco e non parlare con nessuno… chiediamo comunque un po’ a tutti un contributo per quelle che sono le spese di mantenimento, dalla benzina per la macchina usata per andare a prendere le persone magari venute in treno ecc… attualmente stiamo sperimentando il contributo libero senza fissare una cifra, però è sempre in fase di sperimentazione. Vi invito a visitarci, minimo però per una settimana, altrimenti è difficile l’adattamento perché è comunque un cambiamento grosso. Per il nostro progetto c’è ancora posto per una decina di persone, se qualcuno è interessato a saperne di più, sabato facciamo gli incontri ravvicinati con gli ecovillaggi dove daremo tutte le informazioni del caso.
Sonia di Hodos: alla persona che desidera entrare a far parte della nostra esperienza è semplicemente richiesto che aderisca alla nostra idea di comunità. Poi accade esattamente quello che ha già descritto Mario: se c’è un problema si comincia ad affrontare. O inizia un processo di cambiamento oppure se non cambia in modo naturale questa persona andrà via da sola.
Claudia di Torri Superiore: da noi c’è veramente poco spazio per accogliere nuovi membri, nel futuro al limite tre persone, ma solo quando avremo finito di ristrutturare una casa nel borgo che per ora non è pronta. Noi diamo la possibilità di venire o come volontario o come ospite pagante. Come entrata adottiamo un processo molto dolce: chiediamo alla gente di venire più volte. Se uno è proprio intenzionato ad entrare facciamo un anno di prova e alla fine si prendono le decisioni insieme come ha detto Sonia. Non è mai accaduto il caso di una persona che voleva entrare, ma in gruppo faceva opposizione, perché appunto le cose vengono naturalmente e si sente subito se le persone non vanno d’accordo. E’ successo in passato che si erano creati due gruppi con interessi molto contrastanti e con l’aiuto di un facilitatore si è fatto un processo insieme e si è capita la difficoltà di condividere il posto con interessi troppo diversi e poi alla fine un gruppo se ne è andato.
Amy di Bagnaia: noi purtroppo l’ospitalità dobbiamo limitarla, perché la nostra realtà è piccola e a volte è difficile convincere le persone che non è solo il posto letto che ci manca, ma lo spazio. Vogliamo accogliere il nostro ospite bene e la mancanza di posto potrebbe creare delle sofferenze reciproche. Per i curiosi e quelli che vengono la prima volta noi abbiamo il sistema della “giornata aperta” dove condividiamo con i nostri ospiti la giornata che dimezziamo in vari intervalli e dove qualcuno di noi si rende disponibile. Se uno improvvisa infatti, può capitare che ognuno di noi è al lavoro e non ha il tempo nemmeno di scambiare una parola. E’ previsto anche un soggiorno più lungo in cambio di lavoro per i volontari iscritti all’associazione WOOF che Bruno ha già nominato, ma a volte anche per i non iscritti. Non vogliamo scambi di denaro per l’ospitalità. Qualche volta facciamo l’ospitalità per la solidarietà. Per quanto riguarda l’accoglienza di nuovi membri, per il momento non abbiamo il posto, anche se ci stiamo attrezzando, forse il prossimo anno avremo qualcosa da dirvi, ma per il momento la questione non è fattibile. In ultima cosa, se una persona arriva e non rispetta i principi della comune, in genere la persona da sé capisce che non è il caso, spesso non c’è sintonia o ci sono dei problemi che non possiamo aiutare a risolvere in quei pochi casi se la persona non capisce da sé, cerchiamo di parlane e incoraggiamo con qualche aiuto a trovare altre soluzioni ai problemi della persona.

3. Incontro tematico: economia e condivisione negli ecovillaggi.
Amy di Bagnaia: la nostra è una comunità a maglie strette, mettiamo tutto in comune. Abbiamo tutti una paghetta. Di 180 euro per chi lavora fuori e di 165 per chi lavora dentro. La differenza è legata al fatto che chi lavora fuori ha bisogno di comprarsi una camicetta in più di tanto in tanto. Non siamo tanto spartani in realtà, perché abbiamo anche un mese di ferie ciascuno e queste ferie vengono pure pagate. Abbiamo per le ferie 900 euro a disposizione. Abbiamo inoltre dei piccoli bonus di 50 euro per il compleanno e 100 euro per fine anno. Le entrate vengono dall’azienda biologica, dalla vendita della legna e in genere dei nostri prodotti. Altre entrate sono le attività dell’esterno che molti di noi hanno (siamo insegnanti, bibliotecari e altre cose…). Altre entrate sono poi i beni che vengono messi in comune. Quando una persona decide di entrare a far parte della nostra esperienza mette in comune tutti i beni che ha. Chi ha una casa può venderla, assicurandosi di non avere eventuali problemi di pendenze e simili. Poi mette i propri beni in comune mediante un atto di espropriazione volontaria. La comune infatti si regge su questo esercizio di solidarietà economica reciproca, sia che la persona abbia portato molto, sia che non abbia portato niente. Le decisioni prese per consenso in un’assemblea settimanale ci danno la possibilità anche di essere precisi, se qualcuno ha bisogno di qualche cosa in particolare lo chiede e si decide insieme ovviamente.

Relativamente alle persone che arrivano o se ne vanno dalle varie comuni, perché può succedere, quali sono i pro e i contro delle varie strutture di reddito e di proprietà? Quali sono le difficoltà che si possono generare?

Mario degli Elfi: da noi ci sono pochi problemi. Chi lascia al massimo può avere la pretesa di richiedere le spese sostenute per ristrutturare la casa. Chi ha la proprietà la mette in comune nell’associazione, il singolo non ha proprietà.
Sonia di Hodos: noi ci siamo dati una regola. Nel momento in cui uno entra c’è la prova e non dà niente. Dà il suo lavoro in cambio di ospitalità. Per ora si è sempre cercato di valutare caso per caso e di vedere come si pone la persona in quel momento lì, ad esempio si era posto il problema di ristrutturare il pianterreno e la casa che il mio compagno ed io avevamo, l’abbiamo venduta per quella finalità. Non abbiamo una regola, ma partiamo dal presupposto che quando uno fa questa scelta si deve comunque mettere in gioco. Per ora non ce la siamo sentita di non dare niente a chi decide di uscire dalla comune, magari 3000 o 5000 euro glieli diamo per consentire comunque alla persona di ripartire. Questa è l’ottica e non chi non ha dato niente non prende niente e chi ha dato molto prende molto.
Marilia di Basilico: per il momento Basilico è una proprietà privata di alcuni dei soci, semplicemente perché alcuni dei soci a quel tempo avevano la possibilità di mettere denaro ed è stato più facile fare questa proprietà privata. Abbiamo chiesto anche ad altri soci se volevano entrare, ma non avevano voglia di avere proprietà. Il nostro obiettivo è quello di trovare un modo per facilitare l’ingresso di altre persone e di lavorare molto su questo argomento, per trovare una soluzione che faciliti le persone a entrare e eventualmente anche a uscire per chi non vuole fare una scelta per tutta la vita. La soluzione è estremamente complessa e non l’abbiamo ancora trovata.
Amy di Bagnaia: chi va via dopo tre anni di permanenza come membro a pieno titolo della comune, prende 7500 euro di buona uscita che è uguale per tutti (non importa se uno ha messo tanto o poco quando è entrato) e che dovrebbe aiutare la persona a reinserirsi di nuovo nell’economia diversificata. Se qualcuno ovviamente è in gravi difficoltà ci si può parlare e siamo solidali. Certo se uno ha venduto la casa non gli si ricompra. I pro e i contro li potete immaginare. Abbiamo stabilito questo dopo tanti anni, A volte le persone sono uscite bene e altre no. Una volta una persona che aveva messo molti fondi li ha ripretesi e una parte riottenuti. Come in una famiglia uno non può dire prendo la mia parte e me ne vado perché questo destabilizzerebbe l’equilibrio… per evitare questo abbiamo deciso la cifra di 7500 euro e per ora sta funzionando.
Casimir di Torri Superiore: fino a 10 anni fa c’era una società in cui venivano messe le varie proprietà. Ci furono dei problemi in relazione a chi aveva più quote nella società e a chi ne aveva meno. Si crearono problemi con la dinamica del gruppo che ha bloccato tutto il processo. Ora abbiamo fondato un’associazione in cui abbiamo versato una quota associativa di metà paese e tutto il resto invece rimane proprietà privata. Il problema è che legalmente essendo proprietà privata non si è obbligati a vendere la propria casa all’associazione. In 10 anni abbiamo avuto il caso di una famiglia che voleva andare via dal paese e che non voleva vendere a uno di noi la propria abitazione e questo per noi è stato un grosso problema.
Ottavio di Campanara: è una situazione un po’ particolare, dopo la distruzione dell’incendio, alcuni hanno comprato e altri stanno in occupazione. Questo condiziona abbastanza l’impostazione di base perché le problematiche che hanno sollevato in realtà sono molte. Io ad esempio rifiuto di avere una proprietà privata, di avere quindi una proprietà non collettiva. Per me fa parte della mia storia, ho un rifiuto quasi istintivo e come me tanti altri. Per me l’attenzione più importante va sull’uso dei beni e questo non è così scontato. Anche chi critica la società spesso non riesce a distaccarsi dalla proprietà. Invece secondo me è sull’uso dei beni che bisogna creare un’attenzione sociale, etica, politica…dopodichè alle volte la gente mi guarda come un marziano. Ho letto invece un articolo di una rivista di un grosso movimento che c’è stato nel sud della Spagna di occupazione di terre in cui il movimento non rivendicava la proprietà, ma l’uso collettivo e civico dei beni. A partire da questo posso dirvi anche ulteriori riflessioni: la proprietà è una sicurezza che l’individuo si dà per supplire al senso di insicurezza globale. Quindi se noi riusciamo a costruire e a darci sicurezza, non avremo più bisogno della proprietà. Bisogna realizzare delle cose concrete che diano un’inversione di tendenza rispetto all’andamento generale.

Per quanto riguarda le seconde generazioni, i figli decidono di rimanere nella comune seguendo le orme dei padri oppure se ne vanno? E se se ne vanno, poi ritornano?

Casimir di Torri: c’è solo un figlio di 25 anni che è cresciuto lì e adesso studia a Torino ed è andato a vivere fuori.
Figli degli Elfi: fino adesso siamo stati qui e siamo stati bene e abbiamo imparato tante cose e ringraziamo gli Elfi per questo, ma ora vogliamo viaggiare, provare altri stili di vita, nuove esperienze. Andare via per sempre sicuramente no. Siamo ancora alla ricerca come tutti voi. Siamo ancora giovani per decidere certe cose.
Amy di Bagnaia: i figli escono, ma poi ritornano e di solito anche con il compagno, da qui il problema dello spazio. Comunque l’idea nostra è che un figlio cresciuto che ha finito di studiare (perché quando vuole studiare sosteniamo il ragazzo) a quel punto è pronto per decidere se restare o uscire. I ragazzi devono decidere della loro vita. Per il momento stiamo sperimentando la gioia di essere nonni.
Ottavio di Campanara: io penso che dovremmo ribaltare la concezione profonda di questa società. La separazione dei figli dai genitori viene vista da questa società come un qualcosa che leva qualcosa, se il figlio esce dalla comune in genere i genitori percepiscono questa scelta come un qualcosa che viene levato. Invece secondo me la ricerca è una ricchezza, è un bene comune per tutti. Se infatti il ragazzo andando in giro scopre e capisce nuove cose, alla fine queste cose arrivano pure a te e alla comune dalla quale si è sganciato. Andare fuori dalla comune, vedere cose e stare in continua ricerca è quindi una continua fonte di ricchezza e una potenzialità grossa, perché significa che nella società ci sono delle nuove energie che possono cambiarla.

Quali sono i rapporti degli ecovillaggi con la realtà esterna?

Sonia di Hodos: siamo legati a dei gruppi di acquisto solidale di Cascina, Calci e Pontedera, perché sono stati loro che ci hanno richiesto il nostro pane e per questo siamo molto legati. Per quanto riguarda gli enti locali, non abbiamo ancora nessun tipo di rapporto.

Posso aggiungere una cosa così rispondete insieme, in che modo chi non fa parte degli ecovillaggi può promuovere i benefici degli ecovillaggi, cioè che può creare un contesto più facile per l’economia, per la vita sociale dell’ecovillaggio, perché l’impressione dell’isola felice è in qualche modo fastidiosa…

Mario degli Elfi: il rapporto con gli enti locali e con l’esterno in generale all’inizio è stato abbastanza ostico, abbiamo avuto delle difficoltà iniziali sia per l’integrazione dei bambini a scuola, sia con i cacciatori del luogo che consideravano queste terre come loro territorio di caccia e di frode. Poi dopo varie controversie che hanno avuto anche degli aspetti legali siamo giunti a una pacificazione. Li abbiamo denunciati e sono stati condannati per i reati commessi. Spesso le istituzioni hanno cercato di utilizzare la nostra immagine per farsi belli, ci hanno invitato spesso a delle manifestazioni a cui abbiamo partecipato, ma il fine era comunque quello. Il rapporto era quindi di tolleranza reciproca per il quieto vivere. Adesso non siamo più noi ad inseguire i politici o la politica, se vogliono qualcosa vengono loro da noi.
Marilia di Basilico: il nostro progetto con le istituzioni è basato sul progetto di ristrutturazione che abbiamo presentato per la costruzione di casette con materiale ecologico, come le balle di paglia e il legno. Il comune è stato entusiasta dei nostri risultati, tanto da invitarci a non abitare più nelle roulotte, ma costruire nuove capannine di paglia, che sono molto belle e particolari. Abbiamo saputo che l’amministrazione ha concesso anche ad altri di effettuare costruzioni di questo tipo. I risultati raggiunti, dunque, sono per ora molto buoni, grazie anche alle caratteristiche della zona e del territorio adatte a questo scopo. Negli ultimi anni siamo stati concentrati sul nostro posto, ma ultimamente abbiamo cominciato a entrare in un G.A.S. e quindi a creare più contatti con il mondo esterno. Invito le persone a venire e a frequentare i posti, anche se la situazione da noi è abbastanza spartana è bello avere contatti con le persone che possono darci anche una mano nei nostri lavori in cambio di ospitalità. In tutti gli ecovillaggi di Italia ci sono delle competenze incredibili su tante cose, quindi aumentare gli scambi e i contatti è un aiuto anche per apprendere nuove tecniche di risparmio energetico, e diffondere queste nuove conoscenze. Gli ecovillaggi non sono isole felici isolate, ma una rete di scambi totalmente aperta. Chiunque di noi che fa questo nella propria vita se sta bene dà anche agli altri e questo crea una totale compensazione di questa rete di rapporti umani.
Casimir di Torri Superiore: la metà del paese dove viviamo è abitata da gente “normale” e noi abbiamo sempre cercato di mantenere buoni rapporti con l’esterno senza isolarci. Abbiamo molte relazioni soprattutto all’estero, grazie anche al G.E.N.
Alfredo di Bagnaia: siamo molto inseriti nel nostro territorio, sia al livello di associazioni e di gruppi di acquisto (di cui facciamo parte sia come venditori che come consumatori) sia al livello istituzionale (io personalmente sono stato consigliere comunale e ho rivestito al livello provinciale degli incarichi importanti di carattere amministrativo. Finalmente sono libero perché l’ultimo incarico l’ho terminato nel novembre scorso). Non è detto però che il rapporto con le istituzioni sia sempre un rapporto tranquillo. In questo momento siamo in una situazione di forte dialettica: da un lato noi abbiamo animato e continuiamo ad animare come comune di Bagnaia il comitato contro la realizzazione dell’aeroporto di Antignano, però quando si tratta di mettere in piedi il mercatale dei prodotti biologici ecc. organizziamo il tutto insieme alle istituzioni. E’ una situazione diciamo abbastanza promiscua, dipende dal tipo di argomento sul quale si intende lavorare. Abbiamo anche, come dicevo questa mattina, dei rapporti di scambio con i ragazzi palestinesi ed israeliani come progetto di pace con dei finanziamenti da parte del Monte dei Paschi. Noi non ci vergogniamo affatto di questi finanziamenti, anzi, riteniamo che nel momento in cui loro ci danno un pezzo di quello che hanno per finanziare questi progetti ben venga, perché vuol dire che quel pezzo non andrà a finanziare delle cose che noi riteniamo totalmente ingiuste. Un’altra cosa che è importante e che stiamo portando avanti è il collegamento che ha anche Torri con il G.E.N. (global ecovillage network) che porta da noi tantissima gente dai vari paesi con cui stringiamo contatti. Abbiamo infine rapporti abbastanza costanti con tutta una pluralità di associazioni tra cui l’associazione “radici con le ali” con la quale collaboriamo per il recupero del patrimonio culturale contadino, dalle canzoni al maggio e quanto altro che poi riproponiamo grazie al restauro musicale. Quindi: forte integrazione del territorio, dialettiche e dinamiche con le istituzioni che non sono rifiutate a-priori e con le quali bisogna avere un rapporto necessario. Anche Damanhur che non è qui, ma saranno qui domani, nonostante noi non siamo una comune spirituale come loro, hanno uno stretto rapporto con le istituzioni del territorio nel quale si sono insediati. Hanno un forte peso elettorale. Credetemi nella situazione come quella attuale dove noi abbiamo un forte bisogno di un riconoscimento delle comuni e delle comunità in quanto tali attraverso una proposta di legge al livello nazionale, noi non abbiamo gli interlocutori giusti in parlamento. Di conseguenza si tratta di cominciare a lavorare anche seriamente per potere mettere piede in parlamento ad esempio con una proposta di legge popolare dal basso (vediamo se riusciremo a trovare le 50.000 firme certificate), anche se ovviamente il percorso sarà molto difficile.

Quante persone una comunità è in grado di sostenere che lavorino internamente?

Sonia di Hodos: dipende dalle diverse realtà. Da noi ad esempio se qualcuno entrasse adesso ci farebbe piacere che portasse avanti i lavori della terra, perché l’obiettivo dell’auto-produzione è ancora per noi molto lontano. Volevo inoltre rispondere alla domanda precedente. Come ha detto Mario, ci vuole innanzi tutto una grossa motivazione perché nella vita nessuno risolve i problemi a noi stessi. Secondo me per il cambio di mentalità ci sono due strade: usi civici, occupazione, auto-costruzione o pensare alternativamente al consumo. Perché non pensiate che sia facile condividere i propri averi. Conosco persone che potevano tranquillamente permettersi di comprare insieme una casa grossa e sono arrivati al momento di concretizzare e non l’hanno fatto proprio perché non avevano la capacità di mettere i loro beni insieme; non avevano la comunità dentro, come modo di pensare alternativo. Si deve per prima cosa cambiare il modo di porsi di fronte alle “tue” entrate, al “tuo” stipendio, e non è facile nemmeno lottare contro le istituzioni e questo per rispondere anche all’altra domanda.
Claudia di Torri: noi insieme facciamo solo una cassa alimentare. Anche la gente che lavora dentro viene pagata in denaro, in euro, noi abbiamo visto che è molto difficile se una persona lavora fuori mettere tutto i comune. Comunque è sempre una scelta della persona decidere cosa vuole fare. Dipende dalla situazione che di volta in volta si propone.
Alfredo di Bagnaia: la nostra cooperativa agricola ha delle porte che si aprono in base alle competenze e al numero delle persone che intendono lavorare dentro la cooperativa agricola. Per esempio, se c’è qualcuno che se ne va e faceva un determinato lavoro – come è accaduto nel passato – avevamo l’allevamento dei conigli e delle pecore, abbiamo dimesso i conigli e dimesso le pecore. Ma se venisse qualcuno che vuole fare il pastore le porte si riaprono per questa persona. Un tempo facevamo le conserve per la vendita. Abbiamo smesso di farle perché la persona che c’era prima non lo fa più, ma se rientrasse qualcuno che lo volesse fare ben venga e via dicendo. La cooperativa ci dà la possibilità di agire sulla base di una situazione di fisarmonica, possiamo restringere come possiamo ampliare. Possiamo permetterci tutto questo, perché c’è anche l’altra economia di quelli che lavorano fuori. La possibilità di soccorrere il gruppo sulle esigenze fondamentali comunque non sarebbe possibile se davvero adottassimo quella famosa logica aziendalistica di cui prima, perché altrimenti dovremmo ragionare esclusivamente sulla logica del profitto. Noi rifiutiamo la specializzazione in un determinato settore e per questo motivo si è mantenuta la struttura del podere toscano, dove produciamo praticamente di tutto prevalentemente per l’auto-sussistenza e quindi prevalentemente per raggiungere il principio di una totale auto-sufficienza alimentare ed energetico. Questo è il quadro. Il problema lo abbiamo con chi lavora all’esterno in una società imprenditoriale. Abbiamo due persone nostre che sono membri di un società che fa lastricati di strade a Siena, restauri storici ecc. In quei casi loro danno tutto alla comune, ma non danno quella parte che deve appartenere alla società di cui essi fanno parte. Ma il reddito personale, come per tutti noi, viene versato interamente nella realtà della comune.

La cooperativa ha utili?

La comune ha utili, la cooperativa normalmente chiude in pari. Gli utili li rinvestiamo tutti all’interno della realtà della comune. La comune comprende i redditi agricoli e i redditi che vengono dall’esterno.

Qual è il vostro rapporto con le tasse e la sanità?

Alfredo di Bagnaia: riguardo alle tasse abbiamo dovuto inventarci due soluzioni legali, proprio perché non c’è una legge che riconosce le comuni e le comunità in quanto tali. Abbiamo dovuto costituire un’associazione no profit di promozione sociale che detiene la proprietà dei beni. Quindi nessuno di noi è proprietario individualmente, ma il proprietario di tutto è l’associazione. Poi abbiamo dovuto costituire una cooperativa agricola per seguire i lavori dell’azienda e quindi di conseguenza l’associazione che affitta alla cooperativa agricola procura le strutture necessarie per portare avanti l’attività economica. Quindi l’attività economica che si svolge in campagna si svolge secondo le regole delle cooperative. Per quanto riguarda i redditi individuali sono tassati sulla base della legge. Io ad esempio faccio l’insegnante e pago le tasse che sono previste secondo la tipologia di questo lavoro. Per quanto riguarda la sanità, abbiamo il nostro medico di riferimento, molti di noi hanno un medico omeopatico, abbiamo anche alcuni sistemi curativi interni grazie a persone esperte nelle erbe e alcune malattie le curiamo o le preveniamo in questo modo. Applichiamo l’omeopatia anche ai nostri animali, per cui evitiamo qualsiasi tipo di intervento invasivo nei loro confronti. Per quanto riguarda i figli, da noi i figli sono figli della comune, anche se la famiglia naturale hanno diritto all’ultima parola della scelta che poi faranno, ma vi è l’obbligo di consultarsi costantemente sulle scelte con la comune e avere anche da parte della comune l’input necessario. Ovviamente la comune si fa carico in termini di solidarietà economica e si fa carico i tutto ciò che è necessario. Questo vale per tutto…dalla sanità appunto, all’istruzione…
Mario degli Elfi: noi siamo le pecore nere della società. Nessuno di noi paga le tasse. Siamo figure che non esistono, però le nostre case sono per lo Stato civili abitazioni. In realtà però noi coltiviamo e manteniamo questi terreni e viviamo di agricoltura. Allora però questa figura per loro è scomparsa, loro concepiscono un’agricoltura solo fatta dagli imprenditori agricoli o dalle cooperative agricole. Chi di fatto coltiva la terra non è considerato. Noi siamo andati in comune e abbiamo piantato dei casini. Loro ci hanno detto che non era colpa loro perché avevano delegato ad un’agenzia il compito di fare investigazione del territorio. Allora visto che non potevano risolvere il problema perché con una legge del 2005 del governo Prodi scompare la figura del coltivatore di fatto e viene riconosciuta solo quella del coltivatore diretto: o paghi le tasse come coltivatore diretto o paghi l’i.c.i. in quanto civile abitazione. Abbiamo convocato il giudice di pace, la comunità montana e gli abbiamo spiegato la situazione, cioè che stiamo sfruttando un terreno che non è nostro però lo valorizziamo anche se non ci paghiamo le tasse. Il comune non può dire che sono civili abitazioni che sono lontanissime dalla strada, non sono servite da alcun tipo di servizio che generalmente nessun comune piccolo è in grado di dare…non solo si deve pagare, ma anche avere in dietro i servizi per cui paghiamo (viabilità, luce, pali telefonici, l’acqua dell’acquedotto, il passaggio dell’energia elettrica, la raccolta dei rifiuti, il pulmino per portare a scuola i bambini…). Il comune che era l’ente preposto a fare delle azioni legali contro di noi ha rinunciato a darci guai. Per quanto riguarda la sanità, abbiamo amici medici naturopati e omeopati, non si prendono antibiotici e siamo contrari alla medicina invasiva. Puntiamo anche sulla fitoterapia, utilizziamo le erbe per fare creme, importante è inoltre l’alimentazione, facciamo delle tinture in grado di curare l 90% del primo soccorso. Poi naturalmente su cose serie andiamo all’ospedale.
Ottavio di Campanara: da noi abbiamo aperto un centro salute e un ambulatorio di medicina preventiva. Bisogna fare nella zona un lavoro sulla prevenzione delle malattie.

5. Incontro tematico: dinamiche relazionali e consenso negli ecovillaggi
Mario degli Elfi: succede nelle famiglie, nelle coppie, in ogni ambito delle relazioni umane c’è il conflitto, ma in realtà è un’opportunità per crescere e mutare l’impulso distruttivo di rabbia violenta in qualcosa di propositivo. Nella comunità le relazioni sono molto intense, si sta insieme 24 su 24 e spesso si sente la necessità di fermarsi e di fare emergere la propria individualità. Le persone deboli da questo processo possono sentirsi schiacciate. Ma questo non deve essere considerato come un qualcosa di distruttivo, ma come un’opportunità per conoscere meglio noi stessi e gli altri. Per le decisioni ogni individualità è di uguale importanza, non c’è un leader o un capo da seguire, ma ognuno esprime il proprio parere, dà e riceve rispetto dagli altri membri della comune. Il metodo utilizzato è quello del cerchio. Ognuno parla per quanto tempo desidera quando ha il bastone della parola. Tutti in questo caso sono soggetti attivi di una trasformazione, creando un’alchimia particolare in grado di fare gruppo.
Claudia di Torri: nella nostra comune utilizziamo il metodo del consenso: ognuno dice la sua e si discute fintanto che non si trova un accordo. Una volta a settimana facciamo un’assemblea in cui affrontiamo tutti i temi. Non utilizziamo il bastone come gli elfi perché siamo pochi (siamo circa 20). Spesso abbiamo fatto dei corsi di gestione dei conflitti e quando le discussioni sono molto lunghe e non riusciamo a raggiungere una soluzione chiamiamo un facilitatore esterno in grado di condurre le nostre discussioni in modo più distaccato e oggettivo.
Angelo di Noceto: la nostra esperienza non ha uno spirito comunitario così forte. Siamo un nucleo di famiglie che vivono nello stesso podere in case differenziate. In alcuni periodi abbiamo sentito la necessità di riunirci in modo più frequente, soprattutto a pranzo, momento in cui ci risulta più facile far girare a tutti le varie informazioni e gli accadimenti da comunicare. Un periodo addirittura ci riunivamo ogni 15 giorni e grazie all’aiuto di un facilitatore si cercava di gestire i conflitti emersi. Abbiamo sperimentato vari metodo decisionali, tra cui quello del consenso, ma stiamo ancora cercando un metodo maggiormente adatto al nostro tripodi esperienza.
Sonia di Hodos: noi utilizziamo il metodo del consenso e ci riuniamo una volta a settimana. Quando non troviamo un accordo, cerchiamo di scavare e di capire cosa in realtà c’è sotto, che cos’è che non va…ad esempio se compaiono problemi di potere, di possesso, di egoismo…cercando di vedere la dinamica interna che si muove. Piano piano si cerca di arrivare ad un equilibrio e ad una soluzione.
Amy di Bagnaia: posso dire anch’io le stesse cose. Usiamo anche noi il metodo del consenso. Non ci sono maggioranze o minoranze, prima di prendere qualsiasi decisione, si aspetta di essere tutti d’accordo. Oltre al metodo del consenso utilizziamo anche il la comunicazione ecologica, un metodo che aiuta a capire come ascoltarci e come accogliere le idee altrui anche se in realtà non le condividiamo. Ci incontriamo regolarmente ogni lunedì sera, ma quando avvertiamo il desiderio di confrontarci su una particolare tematica troviamo anche altri momenti per ascoltarci, spesso anche con l’aiuto di un facilitatore esterno. Da noi è importante che tutti imparino a fare un verbale o a tenere una riunione, perché tutti siamo soggetti attivi e partecipiamo in prima persona ai processi decisionali del gruppo.
Città della luce: siamo una comunità fondata su un cammino di crescita spirituale Reiki. Siamo nell’entroterra di Sinigallia in provincia di Ancona (prima eravamo a Milano Malpensa, poi ci siamo trasferiti). Per il processo decisionale utilizziamo delle metodologie che si rifanno al principio Reiki della fenomenologia sistemica e delle costellazioni familiari. Se si presenta un conflitto ci si collega a un campo morfogenetico e le varie informazioni passano attraverso dei rappresentanti. Se il conflitto non si risolve ancora, andiamo nel tempio e utilizziamo l’approccio sistemico fenomenologico. Spesso infatti dei problemi che non riusciamo a risolvere nel presente, sono strettamente collegati ai problemi che ci portiamo dietro dai nostri antenati.
MCF: siamo molte comunità e in ciascuna di esse i vari membri possono decidere di utilizzare il metodo decisionale che preferiscono. Un metodo che però accomuna tutte le comunità è il metodo della condivisione: si decide un argomento e ognuno dice cosa ne pensa. Non c’è contraddittorio, né dibattito, nessuno dà dei giudizi. Ogni intervento è considerato come una testimonianza e viene da tutti rispettata. Noi a Torino usiamo il metodo della condivisione ed è una cosa molto lunga, non c’è mai una discussione e le decisioni prese hanno iter molto lunghi. Non ci interessa infatti l’efficienza e la celerità del metodo, ma sperimentare quella che secondo noi è la forma più corretta di rispetto reciproco.

Come affrontate il caso che qualcuno, magari più debole egli altri e con meno capacità oratorie, dia il proprio consenso su una particolare tematica, anche se magari in realtà non voleva dare il proprio consenso?

Mario degli Elfi: questo non ha soluzione. Sta alla sensibilità del gruppo riuscire a comprendere le difficoltà della persona a esprimere il proprio parere. Nei casi di urgenza il problema non sussiste perché in quel caso chi è costretto a prendere una decisione sul momento, ha la fiducia incondizionata di tutti. Eventualmente le critiche possono venire in un momento successivo, ma tutta la comunità ripone la propria fiducia nel singolo.
Claudia Torri: se la problematica affrontata è di particolare importanza e il gruppo si accorge delle difficoltà di qualcuno a esprimere i suoi reali giudizi, o si ripete la discussione o si incoraggia la persona a parlare o a dire realmente ciò che pensa.
Amy di Bagnaia: col metodo del consenso, un buon facilitatore può aiutare la persona più timida ad esprimersi, anche se poi sta ovviamente alla sensibilità del gruppo. Da noi sono pochi i casi di urgenza, perché spesso anche quello che sembra urgente può aspettare. Se ci si accorge infine che qualcuno non è contento, si può anche ripetere tutta la discussione.
Sonia di Hodos: da noi questo problema non si è ancora presentato. Siamo infatti 6 e ci conosciamo tutti bene. In questo contesto riusciamo tutti a parlare sempre di tutto.
Città della luce: noi invece siamo 16 membri con divisione dei compiti e di ambiti di influenza e questo già velocizza le decisioni da prendere sulle cose primarie. Quando invece c’è un argomento importante, ci si concentra su quello e si smette tutti di fare altre cose. Stando insieme, conoscendoci meglio e sviluppando l’esperienza, si riescono a percepire anche i canali di comunicazione non verbali. Un altro problema che si presenta è che spesso la comunità viene stigmatizzata dalla società come sistema deviante che ribalta il concetto di famiglia, di organizzazione economica, di Stato…Queste comunità vengono criticate anche dalla Chiesa per il ribaltamento ad esempio dei valori della famiglia. La durata e la buona riuscita dell’esperienza comunitaria dipende anche dalla capacità dei propri membri di saper gestire e eliminare tutti quei condizionamenti che derivano dall’esterno.
MCF: il fatto che durante le nostre discussioni nessuno ti giudica, fa sì che tutti riescano a parlare e ad esprimere il proprio giudizio (ovviamente tutto ciò che emerge all’interno di un gruppo di condivisione resta segreto). Tutti alla fine parlano. A volte si continua a parlare per mesi…come prima accennavo, è un metodo inefficiente, ma a noi va bene così.
Damanhur: la nostra comunità conta 33 anni di esistenza e siamo più di 1000 persone. Alcune decisioni sono prese da organismi eletti, altre dalle singole famiglie. Utilizziamo una forma di consenso misto, noi infatti a volte votiamo.

6. Incontro tematico: scuola e crescita dei figli negli ecovillaggi.
Damanhur: i figli sono di tutti. L’interazione è ravvicinata, apprendono da tutti e questo rende i nostri figli molto svegli e intelligenti. Abbiamo scuole dall’asilo alle medie a gestione familiare non riconosciute dallo Stato. Dopo la scuola media, i ragazzi fanno un esame per accedere alle scuole superiori pubbliche. Nessuno dei nostri figli ha mai avuto problemi a superare questo esame di sbarramento. Nelle nostre scuole si tengono corsi anche di arte, teatro e musica. 7 volte all’anno i bambini escono da Damanhur per andare a visitare di persona ciò che hanno studiato sui libri e per vedere ciò che significa nella vita reale quello che studiano (due classi ad esempio hanno visitato molti paesi nel mondo).
Mario degli Elfi: da noi ci sono tanti bambini e la scelta dell’istruzione spetta ai genitori. C’è chi ha provato a fare da sé, chi invece li ha mandati alla scuola pubblica (a Trebbio). Nel tempo siamo arrivati a una mediazione con la scuola pubblica, noi seguiamo i bambini fino alla quinta elementare, poi però i bambini devono confrontarsi con la realtà e fare un esame di ammissione per accedere alle medie. Le materie che insegniamo sono anche educazione ambientale, come fare l’orto, come tenere la stalla, la falegnameria, le lingue. La spinta e la scelta di vita che ci ha portato a vivere qui deve essere comunicata ai nostri figli, anche se il contatto con la città non lo precludiamo.
Elfo di seconda generazione:abbiamo sempre avuto molta libertà di scegliere e di dire la nostra opinione, anche nel cerchio, se uno di noi voleva parlare, veniva sempre molto incoraggiato da tutta la comunità.
Marilia di Basilico: L’equilibrio viene fuori dal confronto e dalla libertà individuale. Abbiamo una sola adolescente e le stiamo lasciando una grande libertà.
Amy di Bagnaia: i nostri figli sono sempre andati alla scuola statale. Alle origini avevamo molti bambini piccoli e li mandavamo tutti insieme alla stessa scuola che tra l’altro era molto vicina alla comune. Per quanto riguarda l’educazione dei figli, i genitori hanno l’ultima parola anche se come ho detto prima la comune aiuta e consiglia. L’educazione dei figli e l’istruzione riguarda tutti, quindi chi sa fare qualcosa insegna agli altri a farla. L’educazione dei figli può essere inoltre una fonte di disagio e di conflitto tra i nostri membri. Non è facile parlare con i genitori che spesso sono troppo permissivi o troppo rigidi. E’ per questo che è opportuno che tutta la comunità parli insieme e valuti le varie scelte da adottare ad ex. Alcuni genitori preferiscono non far guardare la televisione ai propri figli e altri sì…Dal 1979 all’89-90 a Bagnaia il ruolo dei genitori era completamente annullato e le decisioni venivano prese dall’assemblea. Successe però che i figli cominciarono a ribellarsi non ai propri genitori, ma all’organo dell’assemblea stessa. Per questo motivo abbiamo valutato l’eccessiva intromissione dell’assemblea e abbiamo deciso di dare l’ultima parola ai genitori. In generale, tanto male i nostri figli da noi non sono stati, perché sono comunque tutti tornati con realtiva/o compagna/o. Se un ragazzo vuole partecipare a tutte le nostre attività è incoraggiato a farlo.
Alfredo di Bagnaia: la nostra inoltre è una comune laica, non abbiamo nessun particolare atteggiamento spirituale da seguire. Nell’insegnamento didattico non viene fatta religione e quasi tutti i nostri figli non sono battezzati. Solo un membro è di religione cattolica.
Sonia di Hodos: siamo partiti con due bambini e ora ce ne è solo una. Quindi il problema della scuola non si è nemmeno presentato. Comunque non siamo dell’idea che i figli debbano seguire per forza la nostra strada. Ci deve essere assoluta libertà. Noi responsabilizziamo molto il bambino sulle sue cose. Per il momento però non partecipa ancora alle decisioni della comunità.
Macaco di Damanhur: l’ambiente esterno in cui vive il bambino influenza notevolmente la formazione del suo carattere. Noi per questo motivo cerchiamo di trasmettere una cultura di pace. La nostra scuola inoltre è aperta anche a chi non vive a Damanhur. Il bambino è un individuo che deve imparare delle cose, per questo per ogni 5 figli è previsto un tutore in grado di aiutare i bambini nella loro crescita. I figli inoltre partecipano anche nelle riunioni di nucleo e anche nel senato dove possono anche votare.
Claudia di Torri: i genitori hanno il diritto di educare i propri figli come preferiscono. A Torri c’è una piccola scuola e abbiamo un buon rapporto con le maestre. Per fortuna da noi non si sono mai presentati genitori troppo ansiosi, siamo sempre andati tutti d’accordo e non si sono mai presentati problemi di educazione.
La città della luce: i figli sono dei genitori, ma seguono il filo conduttore della comunità e si sentono da essa protetti. Hanno la possibilità di partecipare e di collaborare a tutte le nostre attività (dalla produzione del miele, dei vestiti, alla crescita spirituale…).
Macaco di Damanhur: noi siamo una comunità spirituale, ma non religiosa. Il programma didattico che si segue inoltre nelle nostre scuole per concludere l’argomento precedente, è quello ministeriale e ogni singolo anno i nostri figli devono fare un esame di idoneità pubblico.
Mario degli Elfi: abbiamo un impostazione simile a quella di Damanhur. Siccome ogni anno c’è l’esame di idoneità, oltre a seguire il programma ministeriale si da spazio ai laboratori creativi (ad esempio se ci serve una porta, insegniamo ai nostri bambini a farlo, dandogli delle conoscenze che poi gli saranno utili). C’è stata anche un esperienza di stampo staineriano. L’importante è non improvvisare, ma programmare. In questo senso la scuola deve essere comunicativa e partecipativa dei nostri saperi perché questo aiuterà i nostri figli a crescere e a scegliere. Come comunità diamo molto importanza alla spiritualità e all’unione delle energie. Ognuno può avere il proprio credo, ma c’è molta attenzione alla spiritualità.

7. Incontro ravvicinato con: ecovillaggi, cohousing, nuovi progetti.
Qui di seguito lascio alcuni degli indirizzi utili per contattare i nuovi progetti in costruzione. L’indirizzario completo dei nuovi progetti verrà fornito da Sonia di Hodos, incaricata dalla R.I.V.E. di raccogliere le caratteristiche e le informazioni utili a tale proposito.

1) Andrea e Giulia cercano persone per il loro progetto di comune Happy House. Non hanno ancora trovato un posto, ma gli obiettivi che intendono perseguire sono: il raggiungimento dell’ecosostenibilità e un’economia comune. Per maggiori informazioni: happy-house@gmxhome.de
2) Emilia e Davide: progetto di evoluzione di vite che si incontrano. Il progetto è quello di fondare un ecovillaggio basato sull’amore per la natura. La casa trovata era un rudere del 1800 nella Maiella (Parco nazionale dell’abruzzo) ristrutturato secondo i criteri della bioedilizia e con pannelli fotovoltaici. La struttura si chiama “modus vivendi”.
3) Solarca: è un luogo di incontro e di condivisone vicino a Damhanur a Rueglio (TO). Il progetto è in divenire. L’idea però è quella di fondare una comunità di guaritori utilizzando il cerchio come metodo di condivisione. Ha 3 ettari di bosco con ruderi da ristrutturare e una casa madre. Per momento siamo 3. Hebine: 338-2139453.
4) Cristina progetto “Terra base”: ecovillaggio in lunigiana basato sul ritorno alla natura e agricoltura sinergica.
5) Campanara invita tutti a far firmare l’appello per il rinnovamento/riqualificazione delle terre collettive, degli usi civici e delle terre demaniali, per il rafforzamento e la crescita della loro comunità e contro l’abbandono delle montagne, il risanamento, la difesa e l’arricchimento della biodoversità. Tutte le informazioni utili si trovano sul sito dell’Associazione di promozione sociale “Nascere liberi per la rinascita dell’Alta Valle del Senio e di Campanara” www.inventati.org/nascereliberi
6) Ecovillaggio spirituale il cerchio sano
7) Colline metallifere vicino a Massa Marittima 12 ettari e una casa: obiettivi, vivere con semplicità e in modo ecologico non solo materialmente, ma anche spiritualmente e nei rapporti con gli altri.
8) Ecovillaggio olistico colline di Cesena (RoncoFreddo) lorenzolibenti@libero.it

Altri indirizzi utili
www.ecovillage.it; Hodos@psicosintesi.org; www.psicosintesi.org; www.tintarossa.tk; Comunicazione non violenta di Marchall B. Rosemberg: www.envc.org; www.centroesserci.it; pravasito@yahoo.com; Eva Loz: www.biosistemica.org; sito buone notizie di Corrado: manihiki@libero.it; Associazione Rays: famiglia.rays@gmail.com; www.associazionebasilico.it; lacomune.bagnaia@liberi.it; info@torri-superiore.org; www.gen-europe.org; www.ecovillage.it;

Breve presentazione
Rossana Guidi (rossanaguidi@libero.it), dottoranda di ricerca in storia e sociologia della modernità dell’Università di Pisa. Argomento tesi di dottorato: “Comuni ed ecovillaggi: modelli alternativi al sistema economico capitalistico”. Laureata in Scienze Politiche indirizzo politico-sociale dell’Università di Pisa. Argomento tesi di laurea: Émile Durkheim: la divisione del lavoro sociale.
Pubblicazione della ricerca “La stampa quotidiana interpreta i processi del lavoro” nel volume Homo Instabilis. Sociologia della precarietà, curato da Mario Aldo Toscano, edito da Grandevetro/Jaca Book, prima edizione italiana settembre 2007.
Pubblicazione articolo “Uomo o capitale?” sulla rivista Argomenti Umani ottobre 2007, editoriale Il Ponte, direttore della rivista Andrea Margheri.
Pubblicazione articolo “Pena e civiltà” nel Laboratorio Universitario Volterrano a cura di Costantino Caciagli, Stamperia editoriale pisana, Quaderno XI, anno 2006-2007.