TRANSUMANZA

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venerdì 6 marzo 2009

Viverealtrimenti ritorna a Goa: brevi note di viaggio.

Come si può leggere nella presentazione, questo blog-magazine nasce nel sud di Goa quasi un anno fa.
Intorno alla metà di febbraio Viverealtrimenti, nelle persone di “me medesimo” e “Smriti yogateacher”, è ritornato sui suoi passi per un paio di settimane di mare.
Tra il 12 ed il 13 del mese ci siamo sorbiti le nostre buone 28 ore di treno, da Varanasi a Mumbai. “Dondolati dal vagone”, un forse indiscutibile sufi (con le dita di una mano pacchianamente inanellate) ci ha proposto, una volta a destinazione, di accompagnarci in macchina al nostro hotel. Alla stazione lo aspettavano un paio di discepoli/scagnozzi, uno dei quali si sarebbe presto messo alla guida di un Suv, avanzando con una buona tracotanza nelle strade periferiche — e tuttavia sorprendentemente pulite e poco assordanti di clacson; sarà l’India che sta cambiando? — della città.
Colaba, il quartiere turistico di Bombay, ci ha accolti con un piacevole odore di mare.
Eravamo poco distanti dal Taj Hotel, incerottato qua e là dopo i drammatici fatti di novembre e tuttavia senza aver perso nulla della sua maestosità.
Siamo stati appena due notti a Bombay, il tempo di muoverci tra le zone di Colaba, Fort e Malabar Hill. Avere un lontano ed un po’ stucchevole assaggio della “Bombay da bere”, in stato di ormai conclamata occidentalizzazione, godere dell’autenticità di alcuni vicoli con sfogo sul mare, subodorare la blanda santità di un paio di templi hindu e della moschea di Haji Alì, eludere le molte fregature in agguato e la subdola corte di commercianti kashmiri di tappeti fino a passeggiare nei begli interni del Taj Hotel, godere dei suoi salotti raffinati, sospesi nelle malie delle note del Dr Živago suonate ad un pianoforte.

Alle 6 di mattina del 15 febbraio eravamo in strada, con i nostri ingombranti bagagli. Abbiamo raggiunto presto la stazione ed il treno per Margao, città/capoluogo nel sud di Goa. Siamo giunti, a notte quasi fonda, a Palolem Beach dove c’era Prisco ad aspettarci (citato anch’esso in presentazione), con i suoi immancabili, lenti shorts scoloriti.
Abbiamo cenato al Magic Italy di Palolem, un ristorante italiano “da Lonely planet”, passeggiato a lungo sul bagnasciuga parlando della “nostra India”, non senza evocare, di tanto in tanto, la più strutturata Thailandia.
Abbiamo insomma ridelineato scenari consueti del nostro viverealtrimenti, considerando qualche dato in più, aggiornando i nostri flessibili database.
Con Smriti yogateacher abbiamo deciso, nei giorni seguenti, di trasferirci in una spiaggia più appartata, poco distante da Palolem anche nel nome: Patnem. Abbiamo affittato un paio di capanne di una cariatide goana, Gualtiero che da alcuni anni gestisce, assieme al fratello, il ristorante Magic View, in un angolo protetto di Patnem e con immediata vista sul mare: pochi piatti di cucina italiana casereccia, quasi un’utopia in India, un’ottima pizza cotta a legna. In una parola: un posto da non trascurare!
Le capanne di Gualtiero sono sul terreno di una famiglia di bramini locali con cui abbiamo avuto un buon margine di vita comune. Utilizzavamo, difatti, un loro spazio-cucina, in condivisione con un alternativo senior di Vienna: Gunthar, ottimo conoscitore del territorio. Abbiamo nutrito, con i nostri avanzi, le loro galline libere nell’ampia corte, tra palme di cocco, piccoli banani ed alberi di anacardi.
Smriti ha avuto accesso al “tempio segreto” nella loro casa, abbiamo partecipato, con discrezione, ad una loro puja (celebrazione religiosa) e quando siamo partiti li abbiamo quasi lasciati con le lacrime agli occhi. La convivenza con loro e l’anziano ed un po’ asmatico Dada-Ji, con cui abbiamo fatto un bel fuoco una sera, parlando lingue inconciliabili, è stato uno degli elementi che mi ha fatto considerare in maniera critica quanto si va dicendo ultimamente su Goa: è oramai troppo turistica, ha perso la sua autenticità, è un posto troppo sfruttato eccetera eccetera. Vivendo un pochino Goa-sud, in circuiti selezionati, ho creduto di ritrovare quella magia che ha stregato gli hippies negli anni ’60 e ’70.
Goa è un posto unico al mondo per il peculiare melange di natura tropicale e palpabili “contaminazioni europee” (alcune atmosfere portoghesi sembra abbiano davvero ingannato l’usura del tempo), di induismo e di un cristianesimo “morbido” cui si affianca, di tanto in tanto, qualche altrettanto morbida moschea. Per i molti frammenti di vita arcaica, di scura gente di mare ed i caffè ed i locali di chiara impronta occidentale. Soprattutto trovo non sia vero che Goa stia perdendo la sua anima; è sufficiente darsi il tempo di cercarla tra le pieghe, di affittarsi un motorino prendendo strade appena meno convenzionali e battute. Sarà dunque facile ritrovare, tra i quieti palmizi, quello che si va spesso a cercare in India: una naturale armonia, una sobria felicità.
Abbiamo passeggiato su spiagge dove giungono, un po’ furtive, le tartarughe a depositare le loro uova — spiagge praticamente deserte — o che “muoiono” in un villaggio di pescatori rimasto quasi integralmente “se stesso”, senza l’ombra di un turista.

Dalla stazione di Canacona (riferimento ferroviario di Palolem Beach) abbiamo raggiunto, naturalmente con qualche ora di ritardo rispetto agli orari previsti, la città santa di Gokarna (letteralmente “l’orecchio della mucca”), la “Varanasi del sud”.
Abbiamo visitato il Mahabaleshwara Temple, in cui gli occidentali non sono ammessi. Sono riuscito, tuttavia, ad entrare, stretto al braccio di Smriti e, pressati in un’accaldata ressa appiccicosa, abbiamo raggiunto il cuore quasi catacombale del tempio. Abbiamo fatto le nostre offerte di fiori, incenso e noce di cocco e recitato, istruiti da un bramino che ci ha fatto da guida, i mantra appropriati. Abbiamo poi girovagato nella brulla, un po’ depressa città, piena di freaks ed hippies post litteram fino a ritrovarci su di una spiaggia lontana, assieme ad una diradata umanità strascicata. La sera, abbiamo collezionato un’altra ora o due di ritardo per ritornare a Canacona. Malamente pressati sul treno, abbiamo conosciuto Giorgio, pittore di Venezia in viaggio in India con la moglie, entrambi con un’esperienza di circa 40 anni nel paese, a partire dai tempi in cui, dall’Europa, ci si arrivava “via terra”.
Giorgio mi ha messo in guardia dallo scrivere sull’India — “quelli che ci hanno provato”, mi diceva, “Pasolini e Moravia, in primo luogo, hanno tirato fuori delle immense cagate” — consigliandomi di leggere, piuttosto, “Pellegrinaggio alle sorgenti” di Lanza del Vasto.
Qualche giorno dopo è giunto, per me e Smriti, il momento di separarci. Lei è tornata a Varanasi, per le sue classi di yoga ed io sto scrivendo queste brevi note in una stanza “anni 20” della Theosophical Society, ad Adyar, alla periferia di Chennai. La Society — fondata a New York nel 1875 ma con una lunga storia in India, dove ha allevato il maestro “ribelle” Jiddu Krishnamurti — è proprietaria di un campus di circa 100 ettari di terreno, di palme, Banyan Trees ed altre splendide specie botaniche. Saremmo in città ma, in realtà, sto scrivendo dal fondo di una foresta. Questa però è un’altra storia, forse per un altro, prossimo post…