TRANSUMANZA

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venerdì 5 febbraio 2010

La Fattoria Macinarsi su La Repubblica on line.

E' con grande piacere che ho trovato la Fattoria Macinarsi su La Repubblica on line, raccontata in un articolo ed attraverso un video di you tube dove ho potuto rivedere l'amico fraterno Antonio Cammarota, proprietario della piccola azienda alternativa. Come i lettori del mio testo Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo sapranno, ho vissuto a Macinarsi per circa 3 mesi, sul finire dell'inverno e cogliendo il sopraggiungere di una desiderata primavera, nel 2005. E' stata un'esperienza molto bella...e molto rustica.
Ho apprezzato ed in parte subito il "francescanesimo libertario" di Antonio, espressione che è piaciuta al diretto interessato e che dunque uso con affetto. Ora Antonio sottolinea che la sua azienda vive ben al di sotto della linea della decrescita ed io ne approfitto per fare una necessaria provocazione: stiamo molto attenti a questa cultura della decrescita che, sto notando, sta avendo un discreto successo (chi volesse avere maggiori informazioni riguardo il movimento postmoderno, esistenziale e politico della decrescita felice clicchi qui). Personalmente sono un sostenitore della società del benessere sensato e di un consumo godibile e non asinino. Trovo che la cultura della decrescita felice, avendo avuto esperienze con persone che se ne fanno sostenitrici, esaltando la sobrietà rischia di regredire ad un'attitudine mentale progressivamente ostile a troppe cose facilmente liquidate come "superflue". Sappiamo benissimo che quanto è veramente essenziale nella vita è disarmantemente poco. Sappiamo anche che è proprio il cosiddetto superfluo a costituire un vettore dell'energia che tutto muove e vitalizza: l'eros, il piacere. Una cultura della decrescita cosiddetta felice può seriamente rischiare, a mio parere, di deprimere questa grande forza vitale ed aprire varchi pericolosissimi ai sensi di colpa da cui soprattutto noi, cattolici di cultura, siamo già abbastanza condizionati. Le rinunce, le astensioni, non credo nobilitino l'uomo, possono piuttosto rischiare di inasprirlo. Il piacere, al contrario, se vissuto in maniera, ripeto, non asinina, può essere un ottimo vettore di personal development e di maggiore apertura verso l'altro (non ditemi che non siete meglio disposti verso i vostri simili dopo un buon pranzo, di cucina saporita e tuttavia leggera o dopo una bella notte di grande intesa erotica con il vostro partner, stabile o temporaneo che sia). Vivendo da oltre 4 anni in India, dove ho quotidianamente modo di vedere la bruttura di una cultura del risparmio e delle privazioni (e non parlo di coloro che vi sono costretti perchè vivono al di sotto della soglia critica della povertà ma anche di ceti benestanti, dove ho conosciuto persone che non si concedono una doccia calda o evitano di spendere cifre ridicole per comprare una zanzariera raccontandosi che le zanzare sono solo di passaggio e non sono poveri, sono micragnosi, è diverso!) e, al contempo, la bellezza, l'eccitazione dello sviluppo, sto iniziando a pensare che concetti come quelli di decrescita felice siano il segno della decadenza della nostra civiltà. E' oramai arcinoto che questo in cui siamo appena entrati è il "secolo asiatico" e, reduce da un bell'itinerario nell'India del sud (la più sviluppata), di cui non mancherò di parlare in un prossimo post, ho avuto modo di vedere, negli occhi dei tamil, un fuoco erotico, una determinazione a perseguire uno scopo chiaro e concreto: il benessere! (molto banale, lo so, gli alternativi e gli "scassacrociati" se non vanno sul difficile non sono contenti ma questo è); uscire dalla precarietà, dal dover ignorare un buco nelle mutande, dal dover vedere le setole dello spazzolino ripiegarsi pietosamente e, tuttavia, continuare ad usarlo. Non perchè uno spazzolino nuovo costi chissà quanto ma perchè si è oramai insinuato nella propria testa il tarlo degenere del risparmio. Parliamo naturalmente, come già si capisce dall'aggettivo, di una degenerazione ma alcune tendenze culturali credo si prestino davvero a degenerare. Al di là delle degenerazioni, poi, non vedo perchè si debba rinunciare, come sostengono, di fatto, anche i decrescionisti "non degenerati" (basti pensare alla proposta del "buy nothing come stile di vita" di Maurizio Pallante, teorico italiano del movimento in analisi), al piacere di mettere mano, di tanto in tanto, all'arredo di casa, cambiare quando serve la macchina, avere un cellulare in più o concedersi una buona cena in un buon ristorante quando non si ha davvero voglia di cucinare.
Facile bollare il fenomeno come "consumismo", perchè non si prova a pensare che l'essere umano può sentire il bisogno di rinnovarsi anche sul piano materiale o, semplicemente, di trattarsi bene, finanche viziarsi un po' ogni tanto? Non vi sembra sia una forma di brutto bigottismo essere intransigentemente "anticonsumisti", invocando catastrofi imminenti e colpevolizzando di complicità per quelle già avvenute? Chiaro che alcuni eccessi effettive responsabilità le abbiano e che si debba lavorare a compatibilizzare e compatibilizzare ancora ma la risposta non è certo, a mio parere, nella demonizzazione ideologica del consumo. Quando torno in Italia vedo negli occhio dei miei connazionali la patina del disfattismo, della disillusione, la minore vitalità che caratterizza l'avanzare della decadenza. Parlando con il mio amico Gabriele, conosciuto in Sri Lanka e di cui ho ospitato il report della propria esperienza di volontariato a Sarvodaya, lui mi diceva: non credi che arriverà anche per gli indiani il momento in cui conosceranno la disillusione della ricchezza? L'amaro disincanto dello sviluppo? Non ho la sfera di cristallo! E' tuttavia certo che l'essere umano deve costantemente alimentare la propria dimensione motivazionale, che il benessere materiale non è solo un punto di arrivo ma un punto di partenza per orientarsi a nuove forme, meno materialiste (di qui la definizione di "valori post-materialisti" del sociologo americano Ronald Inglehart) del vivere bene e che dunque l'agio materiale, considerato in una prospettiva un minimo più ampia, rappresenti una condizione necessaria ma non sufficiente per una sua autentica (o quasi-tale) serenità. Il confronto di ciascuno di noi con se stesso non ha confini e continua sino al suo ultimo respiro, coinvolgendo fisica e metafisica e dunque i termini della questione, quando ci si avventura sul piano speculativo delle problematiche umane più profonde, trascendono quanto si sta banalmente dicendo in questa sede. Tuttavia, per tornare nell'alveo di consumo sì/consumo no (quando si dovrebbe piuttosto parlare di quale consumo) pensare, come mi è ultimamente capitato di sentire in Italia, che soldi e, ad esempio, crescita spirituale, siano il diavolo e l'acqua santa sia una forma, del tutto antiquata, di idiozia. Credo si debba lavorare a scoprire sempre maggiori compatibilità più che incompatibilità (iniziare ad usare metafore come "la mano destra e la mano sinistra" piuttosto che l'improponibile "il diavolo e l'acqua santa"; impariamo dai gesuiti e dalla loro valorizzazione dell' "et-et" al posto dell' "aut-aut"). Credo dunque dobbiamo essere più coscienti delle opportunità che ci ha dato l'accesso al "superfluo" (e per questo credo faccia davvero bene un'esperienza profonda in un paese povero o "pieno di poveri") anche in termini di distacco e di nobiltà d'animo. Il povero, ad esempio, si trova necessariamente a dover strumentalizzare tutto, anche i sentimenti più nobili (è il degrado della miseria e, come forse molti lettori sapranno, non ha nulla di astratto), il benestante, se utilizza nel modo appropriato le opportunità date dal suo status, può fare a meno di cadere in alcune bassezze. Dobbiamo dunque essere più consapevoli dei tanti doni che ha avuto la nostra area del mondo, esserne più grati e valorizzarli chiedendo di più e non di meno. Focalizzandoci su nuove forme di qualità della vita: culturale, psicofisica, relazionale, ambientale, dunque che sia sempre meglio integrata con la tutela dei nostri contesti naturali e per questo, come scrivevo in un post precedente citando il mio maestro Osho Rajneesh (diciamo meglio: uno dei miei maestri), è necessario affrontare seriamente la questione di una decrescita, sì, ma non economica, demografica! Una decrescita della popolazione mondiale che sta iniziando a diventare oggetto di dibattito (non ancora sufficientemente serio, purtroppo) anche in India, che ha fatto della famiglia numerosa uno dei suoi principali cavalli di battaglia. Chiediamo di più per evitare che le opportunità che noi ci vorremmo negare, vengano sfruttate a pieno dal rampatismo dei paesi emergenti. Un rampantismo, per forza di cose, ben più spietato, con ben'altre istanze di rivalsa e di riscatto che si può fare davvero beffe dei nostri orticelli biologici per il solo autoconsumo, del nostro rifiuto di prendere l'aereo e di sfruttare a fondo le opportunità offerte oggi dalle tecnologie più avanzate. A fronte di questo credo sia doveroso vitalizzare la nostra economia non deprimerla, professionalizzandoci nei nostri punti di forza, inseguendo anche noi un obiettivo chiaro e pragmatico ricercando, lo ripeto ancora, tutte le compatibilità del caso. Non abbiamo più molto tempo e con concetti come quello di decrescita felice rischiamo davvero, nella grande altalena storica dell'emergere e del declinare delle diverse civiltà, di finire negli involtini primavera dei cinesi, nel riso biryani degli indiani e nel sushi dei giapponesi, perdendo il contributo straordinario che la cultura europea ha dato al mondo: la rivoluzione francese, la carta dei diritti dell'uomo, diritti autenticamente umani per tutti...che è bene iniziamo ad abituarci a non darli più per scontati.

Di seguito i link all'articolo de La Repubblica ed al video di You Tube:

http://parma.repubblica.it/multimedia/home/2385790/1/1
http://parma.repubblica.it/dettaglio/dagli-amish-alla-val-di-taro-una-fattoria-equa-e-solidale/1476962