TRANSUMANZA

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sabato 16 ottobre 2010

Amma Mata Amritanandamayi che ama chi l'abbraccia e abbraccia chi l'ama.

Di seguito una bella testimonianza dell'amico Paolo D'Arpini, prossimo autore della Viverealtrimenti Editrice. Potrebbe rientrare in un filone che Viverealtrimenti vuole, pur marginalmente, percorrere e che ha come proprio focus le patacche che si possono trovare in India, un paese in cui piu' ci vivo e piu' sento l'esigenza di raccontarlo per come veramente e' e non per come riesce abilmente a presentarsi a chi non lo conosce direttamente. Dopo cinque anni di esperienza mi sto davvero rendendo conto che il pregiudizio per cui l'India sarebbe piu' maestra di mistificazioni che di misticismo e' piuttosto fondato. Molti dei piu' celebri guru hanno fatto parlare di se' in maniera a dir poco controversa. Un esempio su tutti puo' essere quello di Maharishi Mahesh Yogi, che irreti' i Beatles che, nel 1968, si precipitarono nel suo ashram di Rishikesh per dedicarsi pienamente ai suoi insegnamenti, salvo andarsene schifati perche' scoprirono che probabilmente il guru aveva fatto avances sessuali a Mia Farrow e ad altre donne del gruppo. Il brahmachari (colui che si dedica, come sosteneva di fare il Maharishi, alla continenza sessuale). La casistica puo' essere davvero sterminata, presto pubbblichero' un pezzo intitolato "del gurismo e della cerebrolesione", ispiratomi da un testo che ho trovato nel profondo sud dell'India, nella libreria del movimento gandhiano, intitolato Memorabili contatti con La Madre (La Madre sarebbe Mirra Alfassa, considerata "la compagna spirituale" di Sri Aurobindo, fondatrice dell'esperimento di Auroville): una somma cagata di testo ma illuminante su alcune dinamiche veramente inquietanti che si possono creare tra guru e discepolo. Non manchero' di citarne alcuni stralci.
Sto maturando sempre piu' l'idea che il gurismo possa far leva su un naturale istinto gregario che ha nel nostro passato animale e nella necessita' di riporre la propria fiducia in un capobranco le proprie radici piu' profonde. Non a caso si interagisce con i guru compiendo atti rituali che sono una manifestazione di sostanziale sottomissione (ad esempio toccando loro i piedi) e che possono facilmente ricordare alcune dinamiche di branco. Tra i lupi, ad esempio, i gregari manifestano sottomissione al capobranco inserendogli il muso tra le fauci mentre i cani che intendono comunicare sottomissione espongono ad un potenziale attacco la loro parte piu' vulnerabile: la pancia. Lo fanno anche con gli uomini e viene considerata una tenera manifestazione di affetto.
Il discorso e' lungo e complesso e non puo' essere esaurito in una breve introduzione (anche per non togliere spazio a Paolo che deve essere il vero protagonista di questo post) ma e' qualcosa su cui sto riflettendo da tempo, vivendo direttamente a contatto con una cultura intrisa di gurismo e di dinamiche, continue, di dominio e sottomissione, presenti nel quotidiano del paese (senza dover necessariamente scomodare chissa' quale guru). Queste costituiscono, a mio parere, un presupposto essenziale del fenomeno considerato; avremo modo di riparlarne e di tentare alcune caute contestualizzazioni.
Paolo, finalmente...

Amrit é la bevanda degli dei che dona l’immortalità, con l’aggiunta del suffisso ananda, che significa beatitudine, diventa Amritananda, che è un nome religioso. I nomi religiosi solitamente vengono impartiti a coloro che si consacrano alla ricerca spirituale, insomma che si fanno monaci, da un Guru o da un capo di monastero autorizzato a dare “sannyas” ovvero a ordinare un monaco od una monaca che prende il voto di “rinuncia” ed indossa l’abito ocra del Sannyasi.
Attualmente tra quelli conosciuti che rispondano a questo nome ci sono due persone particolarmente preminenti. Uno é il maestro tantrico Sri Amritananda Natha Saraswathi che comunque dovrebbe avere ricevuto una regolare ordinazione a svolgere le sue funzioni, infatti il termine Saraswathi denota uno specifico ordine monastico nella linea di Shankaracharia.
L’altro, anzi l’altra, é una signora quasi sessantenne denominata Mata Amritanandamayi, conosciuta però in tutto il mondo come “the hugging mother”, in italiano schietto “la madre abbracciona”. Questa signora é nata e viveva, o forse ancora vive quando non é impegnata nei suoi viaggi planetari, sulla costa del Kerala, in un piccolo villaggio di pescatori
chiamato Parayakadavu, nel distretto di Kollam.
Su questa santona abbracciona sono state scritte parecchie storie controverse, cito una sola fonte quella di Bronte Baxter (brontebaxter.wordpress.com) in cui si dicono parecchie brutte cose sul suo conto… ma non voglio fare il maldicente, soprattutto non voglio basarmi su un “sentito dire”.
Ma una cosa mi ha molto meravigliato stasera, mentre sorseggiavo il mio cappuccino bollente in un baretto di Treia, spaparanzato su un divano davanti alla finestra più bella del mondo, e con in mano il prestigioso Corriere della Sera.. ecco che ti leggo.. Su mezza pagina di giornale con
tanto di foto a colori con lei che abbraccia l’ennesimo aspirante (e sottostante pubblicità commerciale poiché si vede che l’argomento tira..).
“Amma Amritanandamayi incontra diecimila devoti a Sesto San Giovanni”… E giù informazioni particolareggiate di come ella trasmetta la beatitudine attraverso il suo abbraccio amoroso.. di come i pretendenti alla beatitudine stiano buoni buoni in fila aspettando pazientemente il loro turno, di come abbia già abbracciato nel mondo almeno trenta milioni di persone….
(sorbole…!)
E qui non ho potuto fare a meno di mettermi sonoramente a ridere.. magari anche dando l’impressione agli avventori presenti di essere un po’ fuori di testa.
“Ma come ci sono al mondo 30.000.000 di gonzi che credono alle favole…?”
Si vede che la gente non ha più nulla in cui credere o sperare nella vita se debbono ricorrere a questi mezzucci per sentirsi un po’ amati… il mondo é diventato troppo virtualizzato, non basta stare su Facebook e fare “amicizia” con migliaia di persone sconosciute.. uno alla fine desidera di
avere un contatto fisico, di ricevere un gesto d’amore, magari finto, magari aspettando il turno come dal dentista, magari per 4 secondi.. ma almeno un “contatto fisico e reale”… e così 10.000 (diecimila) devoti italiani sono andati a Sesto San Giovanni a farsi abbracciare…. Quanto sia loro costato non si sa..
Ma quello che più mi ha meravigliato é che la notizia “inverosimile e fantasiosa” delle prodezze abbracciatorie di tale “amma” apparisse sulle pagine del serioso Corriere della Sera… non ci si può fidare nemmeno più del Corriere…ormai con i media siamo agli sgoccioli… siamo arrivati ad “Anno Zero…”
E cosa ne pensano gli amici laici?
E va bene… qualcuno potrebbe anche dire.. “Cosa ne sa questo Paolo D’Arpini degli abbracci beatifici di Amritanandamayi?” Ed allora ecco che sono costretto a spiattellarvi uno stralcio del resoconto della mia visita all’abbracciona, avvenuta nel lontano 1985/6, quando era da poco iniziata la sua carriera..

Amritananda abita qui? “Forse cercavi Mata Amritanandamayi… ?”
Stavolta le indicazioni che mi sono state date son chiare e dettagliate, con tanto di piantina, disegno della laguna, alberi e barche sul mare: “Ecco qui abita Amritananda, la santa madre che tutti ama e tutti abbraccia..”. Così disse mio fratello Alessandro, salutandomi mentre mi accingevo alla partenza per l’India.
E così partii con mio figlio, a cui facevo da padre e da madre, il mio ultimo nato Felix, che aveva appena un anno e mezzo, e me lo stavo portando appresso a conoscere una “madre spirituale” (almeno questa era l’intenzione), forse quella Madre Amritananda del Kerala. Il Kerala è al sud
dell’India sulla costa dell’Oceano Indiano. Eravamo pronti a partire dalterminal dell’aeroporto di Fiumicino, Felix ed io, non sapendo chi fosse il più emozionato e meravigliato di questo lungo viaggio verso il mare…l’oceano dell’amore che speravamo di trovare in India…
Qualche genitore maschio che legge ha mai provato a viaggiare da solo con un bambino di un anno e mezzo che ancora si fa i bisogni addosso ed a malapena cammina? Questa era la mia situazione, che mi ero scelto per riscattare la mia funzione di padre e madre precedentemente alquanto trascurata, per ritrovare una dignità attraverso la dedizione ed il sacrificio. Potrei scrivere un libro solo sui ricordi di quel lungo viaggio e sulle vicissitudini e prove patite, lo farò un’altra volta…
Dopo un mese “natalizio” di permanenza riposante a Ganeshpuri, in Maharashtra, decisi di andare a cercare questa santa madre di cui avevo sentito parlare e lasciai quel luogo ospitale per recarmi da questa Amritanandamayi in Kerala.
Per giungere nella sua dimora-ashram (a quel tempo ancora in costruzione) bisognava passare una palude in barca e raggiungere la costa, abitata da soli pescatori.
L’impressione ricevuta appena arrivato fu quella di essere entrato in una sorta di “teatrino”. Nell’ashram c’era una balconata sulla quale il pubblico era ammesso e dabbasso, su un palco, si esibiva Amritanandamayi in canti e danze estatiche. Le persone residenti nella comunità erano transfughi di vari altri ashram, ex Hare Krishna, ex cristiani, ex di qua e di là…. Non mi trovavo bene per nulla in questa congenie di abbandonatori monoteisti, però tenevo duro, aspettavo almeno il contatto diretto con l’Amrita (nettare) dell’Ananda (gioia).
Dopo alcuni giorni di penitenza in mezzo a quegli strani devoti, tutti occidentali (salvo i membri dello staff che governava) ed alquanto sciroccati, pensate che uno addirittura mi rimproverò perché disse che lo “facevo eccitare” distogliendolo dalla sua austerità poiché lasciavo girare
per l’ashram l’unico bimbo residente, Felix, seminudo…. (roba da chiodi in fronte….). Un’altra volta mi persi sulla battigia dell’oceano e nessuno dei pescatori sapeva (o voleva) indicarmi il posto della comunità (e chissà cosa volevano significare con quella presunta ignoranza …?).
Infine avvenne l’incontro pubblico e ravvicinato con la madre, in una capanna allestita per l’occasione, tutti i devoti infervorati ed agitati, e la madre che faceva appropinquare uno alla volta i suoi ammiratori e li abbracciava singolarmente.
Malgrado la situazione alquanto complessa, e sotto controllo di un paio di guardie del corpo che stavano ai lati della madre, non potei trattenermi dal verificarne la “santità” e allorquando venne il mio turno dell’abbraccio, lasciai che ella abbracciasse prima mio figlio Felix e poi a mia volta la abbracciai e la strinsi come si stringe una donna (avete capito bene!)….
Immediatamente percepii il suo disagio e sentii il suo corpo femminile tremare imbarazzato, immediatamente fui allontanato dai suoi custodi.. ma ero “soddisfatto” per la buona riuscita della prova, l’indomani stesso me ne partii senza rimpianti….

Paolo D’Arpini

P.S. Personalmente non sono mai andato da Amma e considero gli ashrams delle sorte di istituzioni totali dunque sarei senz'altro curioso di vedere da vicino questo fenomeno di cui sento spesso parlare in India ma aborro l'idea di ammucchiarmi in dormitori desolanti con gente spesso, come scrive Paolo, "sciroccata". Al momento, dunque, non avendo visto Amma di persona, non avendola abbracciata, devo astenermi da ogni giudizio. Una cosa pero' credo meriti di essere menzionata: Ananda May Ma, considerata la compagna spirituale di Paramahamsa Yogananda, e' stata una grande santa dell'induismo contemporaneo. Non ha avuto moltissimo successo fuori dell'India e non e' mai diventata un "fenomeno commerciale", diversamente da altri guru. Amma ha ripreso il suo nome (si chiama difatti Amma Mata Amritanandamay), dunque la sua celebrita' che in India e' davvero notevole. Il popolo indiano, come disse una volta una mia amica discepola di Osho, e' un "popolo bambino", molto facilmente suggestionabile. Nel momento in cui un guru riprende il nome di una persona considerata massimamente santa nel paese e' poi facile giustificare, con i devoti indiani, le ragioni di questa scelta e far leva su un riflesso condizionato di devozione. In alcuni casi puo' anche essere scomodata la reincarnazione. Al riguardo puo' essere calzante l'esempio del celebre Sai Baba che ha ripreso il nome da un grande santo della cultura hindu (anche lui conosciuto in quasi tutta o in tutta l'India senza essere un fenomeno commerciale che ha contagiato l'Occidente): Shirdi Sai Baba. Insomma, iniziare una carriera di guru "ereditando i discepoli " di un altro guru essendosi appropriati del suo nome mi sembra un'azione alquanto spregiudicata, di una spregiudicatezza "molto indiana". Non so quanto tutto questo possa avere a che fare con la "conoscenza", la "realizzazione spirituale" eccetera ma forse, per scomodare uno slogan parecchio in voga tra indofili, seguaci di guru e babacchioni, il mio e' un approccio troppo "mentale". Che dire: puo' anche darsi.... Alla prossima, l'argomento e' troppo stuzzicante per non tornarci ancora.