TRANSUMANZA

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giovedì 18 novembre 2010

Un Giardino dell'Eden con le lenti di Dante Maffia.

Di seguito un bel pezzo critico di Dante Maffia,poeta, romanziere e saggista italiano, sul primo romanzo della Viverealtrimenti Editrice: Un Giardino dell'Eden.

Manuel Olivares è sociologo e inquieto viaggiatore attento a ciò che accade nelle comunità dei giovani, negli ambienti genericamente detti anarchici, tra quella popolazione insoddisfatta di come va il mondo e sempre in preda a cercare il senso recondito dell'essere, il fine dell'esistere.
Questo libro è una sorta di versione italiana di On the road ovviamente con problematiche diverse, con alle spalle tutto ciò che nel frattempo si è vissuto e consumato alla luce di esperienze caotiche e non sempre piacevoli.
Siddharta (il nome è mutuato da Hermann Hesse) ci dà immediatamente la misura di un cammino che si compirà verso luoghi che dovranno purificare e far ascoltare la voce del fiume, far palpitare l'anima occulta delle cose. Il protagonista ci riuscirà? Ha poca importanza, l'importante è viaggiare, incontrare gente, confrontarsi, chiudersi al mondo e poi ritornare a germogliare rispecchiandosi in un universo che sembra essere in depressione e sfaldarsi sulla ruota delle abitudini. Siddharta non si ferma un attimo, e Camelia è soltanto il primo arco di ponte su cui egli veleggia per andare oltre se stesso. Ed ecco Betania, ecco il Montepulciano di periferia, ecco la comunità semi-monastica, ecco uno squat di campagna , ecco Daddy e poi Cinghiale Assetato e finalmente l'approdo ad Auroville. Ma il giardino dell'Eden? Esiste davvero o è soltanto ansia per scoprire che cosa c'è dietro le apparenze? Così ogni incontro ne sviluppa un altro, ogni pensiero ne fa conseguire un altro in un girotondo che non ha requie e che tuttavia fa cadere le scorie dall'anima.
Si tratta quindi di una necessità che non ammette la quiete, la banalità dei rituali, che disconosce le occasioni imperanti del già visto e conosciuto. Siddharta è un uccello ubriaco di libertà, anche se non riesce a trovare il nido dove utilizzarla appieno o il cielo dove estendere le sue ali a piacimento in modo da poter dominare dall'alto. In effetti non vuole dominare, non combatte per egoismo, non si arrende alle regole che le varie società impongono e perciò vaga e vagando succhia il nettare del senso.
C'è una pagina che chiarisce apertamente il fine di questo racconto ed è uno squarcio del colloquio che il protagonista ha con Cinghiale Assetato: "Qui si trova una cultura incredibilmente antica, incredibilmente densa e la vitalità, l'esuberanza di un popolo che sembrerebbe giovanissimo. È veramente una dimensione paradossale, un universo di caos, di enormi discariche a cielo aperto ed un paradiso terrestre, soprattutto al sud, dove sembra di stare nella valle dell'Eden".
"Ma dai? Il posto che sto cercando io", si guadagna un minimo di spazio nella conversazione Siddharta, "cioè a me basta un giardino, un giardino dell'Eden. Io in realtà ci ho vissuto un certo periodo".
"Dove?".
"In un giardino dell'Eden ma non era uno spazio fisico, era piuttosto un luogo dell'anima -però- c'è un però- aveva un baratro...".
Dunque il giardino dell'Eden è come l'sola che non c'è se non dentro se stessi? Questa è la lezione del racconto? Questa la sintesi dell'errare per culture diverse, del prendere aerei, automobili, treni, motociclette? Neppure l'amore è riuscito a orientare la bussola verso il luogo cercato. Eppure è là, aspetta ognuno. Infatti "Siddharta ... parte, ancora una volta".

Dante Maffiìa