TRANSUMANZA

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venerdì 27 aprile 2012

La testimonianza delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi.

Di seguito, i contenuti del mio intervento al convegno nazionale Economia Cristiana nel Mondo. Questo si terrà domani a Roma. Per ulteriore dettagli al riguardo, cliccare qui.
Buona lettura!

Storia del fenomeno comunitario

Il fenomeno delle comunità intenzionali (che al contrario delle comunità spontanee — borghi, paesi, città — sono nuclei umani, di dimensioni generalmente contenute, che nascono dall’intenzione di realizzare obiettivi comuni di vario ordine e grado) prende corpo, storicamente, a partire soprattutto da istanze di natura “religiosa”. Da un’insopprimibile vocazione di ricerca di liberazione, di verità, al di fuori del tracciato battuto dalla “massa”. In alcuni casi sarebbe forse più corretto parlare di un’istanza di natura gnostica, della ricerca, cioè, di una conoscenza salvifica. A questo proposito credo meriti menzionare che Bill Metcalf, sociologo americano esperto dell’argomento, addita come prima, documentata comunità intenzionale Homakoeion, fondata da Pitagora in sud Italia nel 52 a.C, grossomodo contemporanea delle comunità essene con le quali, come vedremo, aveva alcuni elementi in comune.
Tanto gli esseni quanto i pitagorici vengono generalmente considerati ricercatori e studiosi di una conoscenza esoterica che richiedeva, per essere realmente perseguita, una sorta di “ritiro dal mondo”.
Agli albori della riforma protestante e nei secoli successivi le istanze comunitarie, pur rimanendo nell’alveo religioso, si arricchiscono di radicali venature sociali, in coerenza con gli insegnamenti del cristianesimo delle origini, perdendo l’attitudine “elitaria” dei pitagorici e degli esseni e proponendosi, piuttosto, come “singolari avanguardie messianiche”.
Il cambio di segno si inizia ad avere nel diciannovesimo secolo quando,  accanto alle istanze religiose prendono corpo, in ambito comunitario, istanze di natura politico-rivoluzionaria. Qualcuno, ad esempio il grande storico delle religioni Mircea Eliade, potrebbe sostenere si possano identificare i “laboratori di utopia” dei cosiddetti “socialisti utopisti” (Owen e Fourier i due più celebri), la comune di Parigi, le comuni anarchiche della guerra civile spagnola o gli stessi kibbutzim con “avanguardie messianiche di matrice secolare”, ovvero con primi embrioni di un mondo in cui l’utopia (da un certo punto di vista l’equivalente secolare, nella visione eliadiana, del regno di Cristo sulla terra) possa, auspicabilmente, diventare realtà.
Questo detto, ciò che in questa sede è importante segnalare è “l’irruzione”, a partire dal diciannovesimo secolo, dell’istanza politico-utopica nella creazione di comunità intenzionali.
Questa verrà integrata, negli anni ’60 del Novecento, con un’altra di natura esistenziale, di liberazione individuale e di gruppo nelle comuni hippy, metropolitane ed in quelle di un variegato caleidoscopio di “neorurali”. Nelle comunità intenzionali di questo periodo storico potremmo dire che ritroviamo un po’ tutto; tornano in auge, sincretizzate, le “antiche” istanze di natura religiosa, non mancano sicuramente afflati utopico-rivoluzionari integrati con prime rivendicazioni ambientaliste ed è questo uno dei motivi che può far pensare ad un’interessante sperimentazione di avanguardia.
Più recente di tutte ma oggi sempre più dominante: l’istanza ecologica che ha segnato l’inizio della “stagione delle comunità intenzionali ecosostenibili; gli ecovillaggi”.
Nell’ambito del fenomeno comunitario possiamo dunque ritrovare, in piccolo, le più importanti istanze dell’umanità, dall’antica ricerca, generale, di senso e di verità a quella di un equilibrato rapporto tra individuo e collettività, tra “Io” e “Tu” per riprendere il titolo di un celebre testo del filosofo e biblista chassidico ― oltre che kibbutznik — Martin Buber e poi: tra uomo e natura, tra natura e cultura. Per questo credo meriti di essere conosciuto, valorizzato, vissuto. Alcune realtà comunitarie recano chiara l’impronta di una delle istanze sopra citate. In altri casi è difficile identificare i confini tra diverse istanze reciprocamente integrate e forse non è nemmeno importante farlo. Credo sia invece importante avere come referente generale lo scarno quadro teorico presentato per poi considerare, più o meno individualmente, le eterogenee (l’eterogeneità è uno dei loro maggiori punti di forza) realtà comunitarie.


Il comunitarismo iniziatico degli esseni

Una delle principali, per quanto poco documentata, correnti religiose del giudaismo antico, attiva tra il II° secolo a.C. ed il I° secolo d.C., è quella degli esseni.
Da molti considerati una setta ascetica, son divenuti oggetto di particolare dibattito dopo il 1947, a seguito della scoperta dei famosi rotoli di Khirbet Qumran, sul Mar Morto, circa 12 chilometri a sud di Gerico, in Palestina.
A Qumran sono stati ritrovati, oltre ai celebri manoscritti, i resti di una comunità identificata da molti studiosi (con alcune autorevoli eccezioni) come la sede principale della setta che, al tempo di Gesù e stando a quanto scrive Filone d’Alessandria, contava circa 4000 membri.
Tra le vestigia sono stati riconosciuti un refettorio, utilizzato probabilmente anche come sala di riunioni, uno scritorium, dove venivano copiati manoscritti, botteghe, magazzini, cisterne e vasche per i bagni rituali.
A pochi chilometri a sud di Qumran, ad ‘Ain Feshkha, sono emersi i resti di un altro insediamento esseno, a vocazione espressamente agricola.
Plinio il Vecchio localizzava a Qumran la sede centrale dell’essenismo, fenomeno esteso anche al di là della Palestina, ad esempio nella “Siria Palestinese” e con probabili ramificazioni in Egitto.
La dottrina degli esseni — il cui nome potrebbe essere reso con “puri”, “bagnanti”, “pii”, “silenziosi” — si presta facilmente ad essere definita “sincretica”. Consideriamone brevemente alcuni elementi, a partire dal peculiare dualismo bene-male, esplicitato in un’attesa escatologica della guerra dei “figli della luce” contro i “figli delle tenebre”. Questa può essere facilmente ricondotta — assieme alla sacralizzazione del sole (cui veniva dedicata la preghiera mattutina, prima di iniziare la giornata di lavoro), ad una credenza negli angeli ed alla presenza di bagni rituali — ad influenze persiane. Considerando invece la diffusa pratica del celibato, il divieto di sacrificare animali (come testimonia Filone d’Alessandria) e l’attitudine cenobitica, diversi studiosi sono inclini a pensare ad un’assimilazione di concetti buddisti. Si possono infine riscontrare parallelismi con la scuola pitagorica , in particolare in merito al periodo di noviziato propedeutico all’ammissione di nuovi membri, all’uso di vesti bianche, alla dieta rigorosamente vegetariana  ed al giuramento di mantenere segreta la dottrina.
A quest’ultimo proposito merita menzionare che gli esseni sarebbero divenuti famosi per riuscire a preservare, fino alla morte, la loro “conoscenza esoterica”, sopportando torture atroci con un stoicismo che stupiva i contemporanei.
Gli esseni vivevano generalmente in strutture comuni; case cittadine o vere e proprie comunità isolate, come testimonia lo storico Flavio Giuseppe.
Erano massimamente orientati alla temperanza ed al controllo delle passioni.
La maggior parte di loro, come accennato, disprezzava il matrimonio, adottando figli di altri per disciplinarli allo studio dei testi sacri e delle virtù terapeutiche delle pietre e delle piante.
Pochi preferivano invece sposarsi ma solo in vista della procreazione.
«Costoro», scrive Laura Gusella, esperta di ebraistica, nel suo Esperienze di comunità nel giudaismo antico, «si astengono dal rapporto sessuale quando la donna non è feconda e, per essere sicuri di rispettare questa condizione, sottopongono le donne ad un periodo di prova, per vedere se sono in grado di generare e non si uniscono alle loro mogli quando sono gravide» .
Tutti praticavano la comunità dei beni. Scrive Flavio Giuseppe al riguardo:

«la regola è che chi entra metta il suo patrimonio a disposizione della comunità, sì che in mezzo a loro non si vede né lo squallore della miseria, né il fasto della ricchezza, ed essendo gli averi di ciascuno uniti insieme, tutti hanno un unico patrimonio come tanti fratelli» .

Ciascuna comunità essena, dentro e fuori la Palestina, era aperta ad ospitare confratelli forestieri come fossero membri interni.
La loro era, al contempo, un’organizzazione gerarchica (i cui gradi principali erano quelli di postulante, novizio ed iniziato) dove i sacerdoti occupavano una posizione preminente.
Peculiari degli esseni erano le pratiche purificatorie in comune: bagni in acqua fredda con i fianchi cinti da una fascia di lino.
I pasti, ugualmente comuni, erano considerati sacri e venivano consumati, dopo il bagno purificatorio e con indosso vesti bianche, in un locale riservato esclusivamente ai membri della setta.
I cibi venivano preparati nell’osservanza di norme scrupolose di purità e sotto la supervisione di un sacerdote.
Gli esseni erano generalmente apprezzati per la loro sobrietà e le virtù di terapeuti e veggenti.
Molti tra di loro, riporta Giuseppe, vivevano oltre i cento anni, probabilmente grazie alla vita semplice ed ordinata che conducevano.
Vengono considerati abbastanza affini agli esseni i cristiani delle origini, organizzati nella comunità gerosolimitana.
Essi «stavano insieme e avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e ne distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva bisogno» (Atti, 2: 44-45).
Sappiamo poi che, con l’andare del tempo, il cristianesimo (considerato dallo storico Ernest Renan una sorta di essenismo vincente, per quanto sugli elementi di continuità e discontinuità tra le due “scuole” il dibattito tra studiosi sia ancora oggi particolarmente vivace) avrebbe perso in maniera addirittura sfacciata la primitiva vocazione comunistica e frugale.
La cosa provocò non pochi dissensi, prima e dopo la riforma protestante.
Alcuni fermenti dissidenti, nel dipanarsi dei secoli, ebbero un esito nettamente comunitario.


Comunità intenzionali ed ecosostenibili (ecovillaggi) oggi

Venendo ora a quanto sta accadendo attualmente nel mondo delle comunità intenzionali, oggi soprattutto orientate in senso ecologico e dunque spesso qualificate come ecovillaggi, la testa di ponte dell’ingresso nella Ecovillages Age è uno dei paesi più avanzati al mondo sul tema dei diritti civili, del welfare state e delle libertà individuali: la Danimarca.
È difatti da Gaia Trust (www.gaia.org) ― associazione fondata in Danimarca, nel 1987, da Ross e Hildur Jackson che riuniva quindici villaggi danesi — che parte l’idea di formare il GEN (Global Ecovillage Network).
La rete mondiale degli ecovillaggi vede la luce nel 1994 ― nel corso di un incontro internazionale a Findhorn Foundation  — con fondi, ancora una volta, di Gaia Trust.
Con la nascita del GEN  (http://gen.ecovillage.org) inizia una fase di interscambio tra ecovillaggi fino a quel momento tendenzialmente isolati e, da una situazione di comunità slegate ed auto-referenti, prende corpo un movimento con ambizioni di miglioramento della qualità della vita e di salvaguardia del patrimonio ambientale planetario.
Il GEN, da diversi anni ONG dell’ONU, è attualmente decentrato in 3 distinte aree mondiali (GEN Regional Offices): GEN Oceania and Asia,  Ecovillage Network of the Americas e GEN Europe and Africa. 
Al momento aderiscono al GEN migliaia di realtà, molte delle quali organizzate in reti nazionali.
Esempi significativi sono networks come Sarvodaya (che coinvolge ben 15.000 “villaggi sostenibili” in Sri Lanka), EcoYoff and Colufifa (di cui fanno parte 350 villaggi in Senegal), il Ladakh Project, nel nord dell’India e la “nostra” RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici).
Possiamo anche menzionare, tra le realtà aderenti al GEN, “città ecologiche”
— Auroville, nel sud dell’India, la Federazione di Comunità di Damanhur, in Italia e Nimbin in Australia ―, piccoli ecovillaggi rurali come
Gaia Asociación in Argentina e Huehuecoyotl in Messico, progetti di ecologia urbana come Los Angeles EcoVillage e Christiania a Copenhagen, progetti attivi nell’ambito della permacultura come Crystal Waters in Australia, Cochabamba in Bolivia e Barus in Brasile, centri di formazione umana e tecnologica come Findhorn Foundation in Scozia, il Centre for Alternative Technology in Galles ed Earthlands in Massachusetts e l’elenco potrebbe allungarsi ancora.
Da una stima effettuata pochi anni fa nell’ambito dell’americana FIC (Fellowship for Intentional Communities) erano attivi nel mondo (volendo usare i criteri di valutazione più elastici) circa 25000 progetti comunitari, con centinaia di migliaia di persone coinvolte (solo in America si contavano 2000 comunità, con centomila residenti complessivi).
Gli ecovillaggi ed il GEN, cui aderiscono oggi oltre 13000 insediamenti ecologici, sono una significativa sezione di questo più vasto fenomeno.
A livello europeo sono state censite sulla guida Eurotopia 2005 (pubblicata in tedesco ed in inglese) oltre 350 ecovillaggi e comunità intenzionali .
Il GEN ha una generale funzione di coordinamento e networking attraverso periodici incontri delle realtà confederate nelle sue sezioni continentali, newsletters, contributi a riviste specializzate (ad esempio Permaculture Magazine e Communities) e pubblicazioni .
Più in dettaglio, citando direttamente dal sito, il GEN si propone di perseguire i seguenti obiettivi:
-Sostenere lo sviluppo degli ecovillaggi nel mondo;
-Creare una rete solida, con maglie regionali, nazionali ed internazionali, di ecovillaggi;
-Creare una struttura organizzativa in grado di collegare, alla base, ecovillaggi e progetti similari in un forte movimento partecipativo;
-Promuovere, nel mondo, Living and Learning Centers (centri formativi in cui possano essere apprese nozioni specifiche vivendo la realtà globale del centro ospite, generalmente un ecovillaggio);
-Supportare le comunità eco-sostenibili in forum pubblici;
-Collaborare con organizzazioni e persone che condividano i principi e gli intenti presentati.
Dopo appena due anni dalla fondazione del GEN, nel 1996, vede la luce la RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici), in occasione del convegno Il villaggio globale, una soluzione per il futuro del pianeta, ad Alessano, in provincia di Lecce.
La RIVE (http://www.mappaecovillaggi.it), similmente al GEN nel mondo, ha una funzione di coordinamento dell’eterogeneo movimento comunitario italiano.
Per riportare quanto scritto nel suo statuto: «La RIVE riconosce come ecovillaggi le realtà costituite da almeno cinque persone adulte che si ispirano a criteri di sostenibilità ecologica, spirituale, socioculturale ed economica, intendendo per sostenibilità l’attitudine di un gruppo umano a soddisfare i propri bisogni senza ridurre, ma anzi migliorando le prospettive per le generazioni future».
Un importante momento delle attività della RIVE è l’incontro annuale delle realtà aderenti — aperto anche a simpatizzanti o semplici curiosi ― che si svolge generalmente a luglio presso uno degli ecovillaggi confederati.
È il raduno più importante cui tuttavia ne fanno seguito, sporadicamente, anche altri.
Al momento sono coinvolti nella RIVE una trentina di progetti di ecovillaggi-comunità (come numero di realtà comunitarie l’Italia è più o meno nella media europea). Di questi, circa la metà sono esperienze allo stato embrionale mentre nei restanti casi si può parlare di situazioni abbastanza consolidate (3 hanno una storia di oltre 25 anni e 10 sono attive da un periodo compreso tra i 10 ed i 25 anni).
Esistono poi altre esperienze comunitarie o aspiranti tali che, per motivi diversi, al momento non aderiscono alla RIVE pur contribuendo a comporre la variegata costellazione comunitaria italiana.
Alcune hanno una netta matrice religiosa e sono piuttosto consistenti.
L’esempio più celebre è senz’altro Nomadelfia (letteralmente “legge della fraternità”), in provincia di Grosseto, fondata da un sacerdote sui generis, don Zeno, nel 1948. Al momento Nomadelfia conta 320 membri effettivi, in un territorio comunitario di circa 4 chilometri quadrati.
Si potrebbero citare altri esempi ma quanto credo sia più importante sottolineare, in conclusione di questo intervento, è l’interessante vitalità che sta dimostrando il mondo comunitario oggi, a livello nazionale ed internazionale, proponendosi come uno dei possibili antidoti alla preoccupante “crisi della modernità”.
Grazie dell’attenzione!

Manuel Olivares